Era il 17 febbraio, un lunedì, e partivo per la Thailandia. Poco più di due mesi fa, eppure sembra essere passato un secolo. Anzi, sembra essere cambiato il mondo e, forse, davvero lo è.
Il consueto modo di dire thai “sabai sabai” , ovvero “non ti preoccupare, va tutto bene”, quest’anno sembrava quanto mai incoerente con una situazione che, allora, era ancora pericolosamente confusa ma già ferocemente in agguato. Io stessa avevo scelto di partire spinta anche dalla scarsa consapevolezza della gravità della situazione che aleggiava in quei giorni e dalla scarsità di informazioni sulle misure da prendere per proteggersi.
Mascherina nello zaino, disinfettante a portata di mano ed eventualmente guanti protettivi: erano queste le uniche precauzioni personali che avevo con me, per altro utilizzate con la leggerezza di chi si appresta a partire per una vacanza. Nessun obbligo allora, nessun divieto ancora, tanto che l’aereo era quasi al completo e la maggior parte dei viaggiatori appariva spensierata e soprattutto senza alcuna protezione visibile.
Da lì a breve l’impennata: l’Italia, nel giro di pochi giorni, sarebbe diventato il secondo Paese, dopo la Cina, per diffusione del virus. Impensabile, impossibile, eppure vero.
Dopo il mio ritorno, il 6 marzo, ripensando all’evoluzione degli eventi, ho avuto spesso un tormentato brivido. Ma ancora più spesso, anzi sempre, ho provato – e tuttora provo – un profondo sentimento di gratitudine verso l’invisibile Essenza che puntualmente mi protegge nella mia esistenza.
Grazie, perché nonostante (o grazie a) l’incoscienza ho potuto tornare in un Paese che ho imparato ad amare, insieme alla sua gente mite e gentile, che ora è sprofondata in un’agonia forse più crudele della nostra.
Grazie, perché dopo tre settimane dalla partenza ho potuto tornare a casa, per un soffio, poco prima che il graduale lock down bloccasse anche partenze, arrivi e frontiere, paralizzando il mondo in un progressivo stato di congelamento comatoso.
Grazie, perché questa apparentemente casuale tempistica millimetrica mi ha permesso di rientrare e rivedere almeno per un giorno i miei famigliari in Italia prime di entrare in Svizzera, con la sola assenza del mio povero Rocky che s’è spento appena un giorno prima del mio arrivo. Nessun abbaio ad accogliermi, infatti, nessun rimprovero per le mancate carezze. Mi manca. Però oggi posso pensare a lui con tenerezza e non più con dolore.
E infine Grazie, perché nonostante io abbia trascorso quel periodo lontano, priva di tutte quelle precauzioni che dal mese successivo si sono rivelate indispensabili per tutti, in tutto il mondo, sono rimasta sana e forte. Forse, in una parola, fortunata a casa mia!
Era il 17 febbraio, un lunedì di un anno non certo qualunque, impossibile da dimenticare. Un anno che, in un paio di mesi, ha visto cambiare il mondo e il modo di concepire le relazioni, il tempo, la libertà e chissà quanto altro ancora. Ci si preoccupa, e tanto, perché non va ancora tutto bene e il domani appare come una nuvola impalpabile dai contorni sfilacciati.
Eppure questo domani c’è, è lì che bussa al nostro presente ancora zoppicante. Lo vedo proprio in quest’istante danzare fuori dalla finestra: vola leggero sulle ali delle rondini che, puntuali, si sono svegliate ai primi vagiti di una primavera incolume, intatta, immune.
Ecco… anche per questo voglio dire Grazie.
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