Aprire gli occhi all’alba e posare lo sguardo oltre la finestra affacciata sul cielo. Lassù, la vetta spolverata di zucchero del Monte Generoso e una manciata di stelle ancora vibranti, orfane di una luna calante ormai dormiente.
Il cielo d’inverno a questa latitudine, libero da nubi, somiglia a un abito dipinto da Klimt. Ricami luminosi che come tanti piccolissimi occhi sorvegliano la Terra, un’armonia di lucciole dorate che, unite da invisibili fili, cuciono messaggi misteriosi. Misteriosi almeno per noi, creature di oggi capaci di navigare in rete ma non nei mari infiniti dell’Universo. Messaggi, invece, eloquenti e indispensabili per i nostri antenati che, attraverso la grammatica del cosmo, si orientavano, si interrogavano e si rinfrancavano.
Le costellazioni di Orione, del Toro, dell’Auriga e dei Gemelli, insieme alla regina dei cieli d’inverno – Sirio, la più brillante, la più luminosa – raccontano di miti e leggende immortali, archetipi che riflettono l’immaginario collettivo più arcaico. E con un po’ di candore, si può ancora afferrare questo magico linguaggio. Per esempio, osservando il disegno apparentemente naturale delle Pleiadi, le “sette sorelle”, compagne vergini di Artemide, dea della caccia, si può sentirsi risucchiare in un ameno altrove e volare con loro lassù.
La leggenda vuole che il destino delle Pleiadi fosse quello di fuggire dall’accanimento di Orione, perdutamente invaghito della loro bellezza. Così, gli dèi mossi a pietà, le tramutarono prima in colombe per consentir loro di volar lontano dal cacciatore, poi in stelle per essere definitivamente libere e irraggiungibili. Ecco, allora, che oggi come ieri le Pleiadi stanno là a difendere la propria purezza e, a guardarle, sembra davvero che stiano fuggendo da Orione, in un arazzo celeste che azzera lo scorrere del tempo.
Perché la Volta Celeste si muove continuamente eppure resta sempre la stessa. Tutto cambia e tutto resta, al passo di una danza circolare. Anche un profondo cielo d’inverno si rinnova e si ripete offrendosi allo sguardo. Non più quello di naviganti e pastori alla ricerca del proprio destino, ma semplicemente di chi ha il privilegio di aprire gli occhi all’alba e continuare a sognare, posando lo sguardo oltre la finestra affacciata sul cielo.
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