“Quanto durano dieci minuti?” Suona senza un senso apparente questa domanda che, probabilmente, solo un bambino piccolo potrebbe porre a un adulto, mettendolo in seria difficoltà.
La comprensione del concetto di tempo, infatti, non è facilmente intuibile nonostante le secolari discettazioni di filosofi e scienziati. Forse, accostandola ai concetti di spazio e di movimento diventa qualcosa di più maneggevole per la nostra mente finita di comuni mortali. Con queste due stampelle concettuali, dieci minuti durano, per esempio, il tempo dell’intervallo a scuola, oppure il tempo di raggiungere la casa dei nonni. Ecco, così diventa chiaro a tutti cosa sia il tempo.
La riflessione è forse ridondante, eppure oggi mi sembra possa aiutare a fotografare meglio la folle realtà che stiamo vivendo. Osservando le code che ormai da settimane si formano quotidianamente all’ingresso dei negozi, mi son chiesta come sia cambiata la percezione che abbiamo dell’uso del nostro tempo. Le attese spesso pazientemente sopportate per poter accedere in presunta sicurezza ai servizi di cui si ha bisogno, come condizionano la durata delle nostre azioni giornaliere e la programmazione delle giornate stesse?
Se prima per fare la spesa impiegavamo mediamente mezz’ora, oggi – considerando l’attesa – in proporzione impieghiamo almeno un’ora, con le incognite che il numero di persone davanti a noi mette imprevedibilmente in gioco. Quindi il tempo a nostra disposizione per fare qualsiasi cosa dipende sempre più dagli altri diventando ancora più aleatorio e sfuggevole nella sua percezione.
Ad orientarci, ecco le linee gialle ben in vista sulle pavimentazioni, quelle che misurano le distanze da rispettare tra gli individui. Perché queste separazioni misurano non solo lo spazio ma scandiscono anche il tempo, diventando simboliche lancette d’orologio di un mondo sempre più valutato in base ai numeri.
Naturalmente, e per fortuna, per ognuna delle persone in coda il senso del tempo è soggettivo, unico. Perché su quello obiettivamente misurato vince quello emotivo: se si ha fretta, un minuto durerà molto più a lungo, così come se si è distratti da piacevoli conversazioni interiori, un minuto volerà in un soffio. Almeno così l’individualità è salva e nessuno può rubarcela!
La sensazione forse esasperata che ho è che una mano invisibile ci vorrebbe tutti ammaestrati e obbedienti a nuove leggi, obbligandoci a mettere in discussione le nostre vecchie abitudini per accettare dei cambiamenti epocali ipoteticamente necessari che, forse, solo in futuro potremo capire. Perché è sempre impossibile capire il proprio tempo, se non guardandolo a ritroso.
Come scriveva Borges “il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume …”. In questa bella immagine letteraria sta tutta l’impossibilità di afferrare qualcosa di più grande di noi, immagine che, tuttavia, ci raffigura come fiumi, ovvero liberi e padroni di noi stessi.
Oggi, tutt’al più, sembriamo solo tante piccole gocce dal futuro incerto … in attesa del nostro turno.
QUOTE
… Quindi il tempo a nostra disposizione per fare qualsiasi cosa dipende sempre più dagli altri diventando ancora più aleatorio e sfuggevole nella sua percezione.
L’immagine del fiume che ci trascina è da collegare, a mio avviso e alla cultura liberale che domina lo stato di padronanza di noi stessi richiama i dibattiti incorsi nella formazione liceale del classico: dalla fìlosofia alla “fede” e dai valori connessi con il “libero arbitrio”, la validità nel tempo del destino… della neofisica e dei concetti umani d’eternità in continua e sicurezza tra dubbi di QUANTIFICAZIONE E RELAZIONE tra “spazio e tempo”.
Mi “piace e condivido” la tua sintesi: “sembriamo solo tante piccole gocce dal futuro incerto in attesa del nostro turno”…
La materia chimico-fisica dominante nel tempo-spazio, anche in compagnia degli oblò d’un aereo in quota è la goccia che vive il ciclo del suo stato di agglomerato di molecole stanche di riciclare lo stato di materia apparente e la bellezza di una “forma” fisicamente e apparentemente reversibile.,.