Meride, il borgo scolpito nel tempo

È una domenica qualunque. Ma potrebbe anche non essere domenica, perché ultimamente i giorni si ripetono apparentemente identici a se stessi e le settimane si dilatano dentro un tunnel di cui non s’intravede l’uscita ma se ne avverte solo il silenzio. 

Questa sensazione di apparente immobilità mi porta oggi, per chissà quale misteriosa coincidenza, a percorrere un sentiero solitario, certa di non incontrare nessuno. Parto da Riva San Vitale, a piedi, e mi spingo verso le prime pendici del Monte San Giorgio – il monte nato dal mare, come i suoi fossili marini raccontano –  che, come un gigante alberato, inghiotte i sentieri trasformandoli in una vera e propria sorpresa per chi li affronta per la prima volta. Come me.

Così, convinta di fare una lieve passeggiata tra i boschi dietro casa, mi ritrovo invece a inerpicarmi tra rocce inospitali che sembrano precipitare giù dalla montagna, offrendo sì un appoggio al cammino ma, spesso, anche un serio ostacolo. Gli strapiombi non mancano, ed ecco servita al completo la mia lieve passeggiata, in compagnia delle mie vertigini e nuda di nordik! Tanto indietro non si torna, quindi posso solo sperare che, proseguendo, l’andamento del sentiero sia più clemente con me. Dopo un’ora circa di sospiri, capogiri e qualche imprecazione, mi si apre il cuore quando sbuco dal bosco e scorgo il primo tratto di acciottolato, ben dritto e pianeggiante finalmente, che s’allarga tra prati e cielo. È il benvenuto che mi dà Meride, delizioso borgo sopravvissuto allo scorrere del tempo, che appare come un ricamo agreste toscano nel cuore della campagna ticinese. 

“Il paese di Meride conserva numerose tracce di un passato glorioso. Percorrendo l’unica via principale ci si imbatte in un’armonica aggregazione di case, alcune antichissime, di importanza regionale e nazionale. Portali cinquecenteschi eleganti, cortili spaziosi e logge ariose, sostenute da colonne ricavate dal sasso di Saltrio, offrono un prospetto di grande valore e signorilità.”
È con queste parole, stampate su un cartellone, che il Comune accoglie il viandante, già dimentico del capriccioso sentiero alle spalle. Il silenzio avvolge tutto, sembra piovere dal cielo, mentre un sole leggermente velato ma caldo incoraggia alla lenta scoperta del piccolo paese. Nessuno in giro. Le abitazioni in sasso raccontano una storia ben conservata, una storia ricca d’arte e cultura, perché scritta dai famosi Mastri, eccellenti artigiani meridensi. Scultori, stuccatori e pittori che, partendo dal Mendrisiotto, hanno partecipato letteralmente alla costruzione dell’Europa, lavorando anche in Italia, Francia, Germania, Polonia e San Pietroburgo. I Mastri prestavano il proprio talento agli altri Paesi ma poi, in inverno, tornavano qui, al villaggio, dedicandosi alle proprie abitazioni, arricchiti anche dall’esperienza fuori casa.

Il risultato è sontuoso e semplice insieme. Sono i portoni delle case, così eleganti e massicci, ad attirarmi. Passando per le viuzze mi vien voglia di spiare tra le fessure sottili che il legno offre per scoprire cosa c’è oltre. Chiavistelli e battacchi in ferro battuto tradiscono storie di grandi famiglie, d’intrecci di potere e intrighi d’amore, chissà… pare quasi di udire lo scalpiccio di qualche cavallo montato da un misterioso Signore sgusciato dall’abbraccio furtivo della sua nobildonna. 

Il piccolo labirinto di logge e cortili sfocia su una altrettanto piccola piazzetta su cui s’erge la Chiesa di san Rocco, del XVII secolo, affacciata su una distesa di vigneti, frutteti, orti, campi di grano e mais. Questa spettacolare vista sulla campagna già verdeggiante e solitaria mette pace e mi richiama al mio cammino. Qualche attrezzo agricolo qua e là tra i campi conforta e assicura sulla presenza umana. Così, accompagnata dallo sguardo di qualche invisibile abitante, m’avvio verso il ritorno. Ovviamente affidandomi a un altro sentiero, ben più tranquillo, che mi porterà a Rancate e da lì a Riva San Vitale, attraverso un’intricatissima scenografia di piante, erbe e muschi che s’aggrappano alle rocce tanto da soffocarle con la loro morbidezza. La mulattiera questa volta è scorrevole e persino profumata, odorosa di tappeti folti di aglio orsino che scivolano lungo le falde della montagna fino alla fine del sentiero.

Anche il tempo scivola via come la strada, passo dopo passo, e anche questa è fatta.

È una domenica qualunque, eppure speciale. Anche oggi ho scoperto qualcosa di nuovo in maniera del tutto inattesa, a due passi da casa. Non è vero, dunque, che i giorni si ripetono identici a se stessi, neanche in questo assurdo momento di paralisi sociale e psicologica. C’è sempre una sorpresa, un’emozione, una bellezza che ci aspetta. Soprattutto alla fine di una strada difficile, vertiginosa, quasi impossibile da affrontare…