Leventina, il mare bianco e la Via delle genti

Ieri un sole irresistibile ha battuto il gelo. Ciaspole, bastoni e un gran bisogno di montagna, questo l’equipaggiamento con cui siamo partiti per una Leventina come sempre fiabesca.

A partire da Biasca, dove il fiume Brenno si immette nel Ticino, si prosegue verso nord e ci si addentra piano piano tra i fianchi della terra, che comincia bruscamente a cambiar fisionomia. In pochi istanti si passa dalla città alla montagna, con la stessa leggerezza con cui si volta la pagina di un libro.

Una sosta a Catto per riabbracciare la “piccola grande donna della Leventina” – a dire il vero sempre più “grande” – e poi via, alla conquista del mare bianco. Come sempre, da queste parti è raro incontrare qualcuno sciare o ciaspolare, ed è proprio questo il bello. Il silenzio è spezzato solo dalla fragranza della neve calpestata dal nostro lento incedere e questa dimensione di vuoto spalmato tra la terra e il cielo dà il via alla danza dei pensieri.

Osservo le impronte impresse dalle ciaspole davanti a me e nella mia mente s’accende un’immagine curiosa. Sono così grandi rispetto ai nostri corpi, così sproporzionate e sgraziate da sembrare non appartenerci. Piuttosto somigliano alle impronte di giganti, di creature preistoriche, forse, o di animali grotteschi appartenenti alla natura. 

Il paradosso tra la nostra piccolezza e l’immensità dello spazio che ci circonda mi fa pensare a come doveva essere secoli fa il rapporto tra l’uomo e la montagna da queste parti, quando qui si passava non certo per sport o divertimento ma per sopravvivenza. 

La Leventina, infatti, già nel Medioevo, rappresentava la strada più veloce per raggiungere i mercati dei paesi nordici, ma contemporaneamente era battuta anche dai pellegrini per recarsi a Roma e in Terrasanta. Sentieri e mulattiere s’intrecciavano some serpenti su tutto il territorio e una delle strade più importanti è stata a lungo la cosiddetta “Via delle genti”, che si snodava da Giornico fino al Passo del San Gottardo.

La posizione accogliente e strategica della Leventina diede vita a vere e proprie associazioni e corporazioni perché organizzassero tutto il necessario ai viaggi e ai trasporti di merci, persone e animali. Il bestiame da soma – muli e cavalli con le relative attrezzature – restò fondamentale anche nei secoli a venire e quella dei somieri divenne una categoria professionale molto importante, anche perché il trasporto delle merci era soggetto a dazi e pedaggi, e comportava quindi una responsabilità economica non indifferente.

Mentre con la mente continuo a viaggiare indietro nel tempo, i miei piedi dai calzari mostruosi proseguono a violare la neve illibata, sotto la quale probabilmente ci sono ancora le tracce degli antichi somieri con i loro muli. Di sicuro, nonostante le difficoltà, c’era più traffico allora in questa valle che non oggi. Il privilegio di essere soli, abbracciati dal Pizzo Mezzodì da un lato, dal Pizzo Pettine dall’altro, con il Gottardo all’orizzonte che tutto domina, beh … è qualcosa di impagabile, ogni volta unico. 

I tre asinelli che ci aspettano alla base son fortunati, loro non devono sopportare pesi e fatiche ma solo godere delle attenzioni amorevoli della loro custode e sembrano proprio essere consapevoli di tale fortuna. Dal passato al presente … ma come sarà la Leventina del futuro … mi domando prima di ripartire respirando con piacere l’ultimo sorso di sole. La voglio pensare identica a questo giorno perfetto, intatta nella sua naturalezza, gelosa della sua splendida semplicità.

Andare via da qui e salutare la piccola grande donna è sempre un dramma. Ma lasciamo pure, senza vergogna, che una lacrima si sciolga nel profondo mare bianco della Leventina, fino al nostro prossimo ritorno.