Il gabbiano innamorato

Non so dove i gabbiani abbiano il nido, ove trovino pace. Io son come loro, in perpetuo volo. La vita sfioro Com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo. E come forse anch’essi amo la quiete Ma il mio destino è vivere Balenando in burrasca.

Così Cardarelli poetava il sentimento che i gabbiani di mare gli infondevano, con le loro danze alate e i canti inquieti. In effetti, osservandoli e ascoltandoli, è facile intuire la complessità del loro modo di comunicare e, persino, di pensare.

Intelligenti, astuti, cooperativi ma anche egoisti e combattivi, perché, si sa, la fame è il primo istinto cui rispondere. 

Ma ciò che più mi ha colpito durante una mia parentesi all’Isola del Giglio è una particolare melodia del loro canto, una melodia che somiglia ad uno struggente lamento umano, accompagnata da un inchino del collo verso il basso. Mi piace pensare che questo canto non corrisponda a una richiesta di cibo, bensì a una preghiera di amore. Il becco aguzzo laccato di rosso, così vorace così feroce, si fa improvvisamente umile e scivola verso le zampe, come a implorare compagnia, affetto e protezione.

Ogni mattina, affacciandomi su un mare ancora assonnato, mi incantava il silenzio dell’isola, interrotto solo da questi lamenti alati che rimbalzavano dalla scogliera alle spiagge. E poi, insieme al levar del sole, eccoli lassù nel blu, a salutare il giorno con l’eleganza di tante ballerine. Le ali aperte come vele spiegate al vento, leggere, luminose, abbaglianti.

In effetti, secondo un mito antico, il gabbiano reale sarebbe stato in origine il proprietario della luce del giorno, luce che restituiva a chi lo osservava energia e bellezza.

Fino all’ultimo giorno del mio sostare sull’isola, i gabbiani mi hanno accompagnato, persino sul traghetto fino a Porto Santo Stefano. E sono certa che quel passeggero alato clandestino che ha viaggiato con me, abbia voluto raggiungere la sua amata, corteggiandola con l’irresistibile canto, nella dolorosa speranza di essere corrisposto e di addolcire la sua solitudine.

Perché se è vero che i gabbiani amano la quiete, il loro destino è vivere balenando in burrasca.