Nel silenzio della notte un fiume di parole. Dialoghi, volti e incontri prendono vita e tessono la trama di un romanzo in un ghirigoro di emozioni.
Immagino così Marilena, sveglia nelle notti sempre troppo brevi per lei, immersa nella scrittura, trascinata da personaggi che sembrano essere vivi già prima di essere inventati. Lei non è sola nel buio, anzi, è circondata da Mario, Malik, Franca, Angela, Carmelo e anche da Dario e Bice … le cui vite si intrecciano in sorprendenti circostanze che lasciano poco al caso, perché tutto sembra drammaticamente reale.
L’ultimo dei fuasté scappa fuori dalle pagine e il romanzo diventa immediatamente un film, sin dalle prime righe, accese da quelle parole in dialetto che uniscono persone lontane, mettendole in grado di capirsi attraverso un linguaggio comune. Perché il dialetto è una lingua. Il sentimento di empatia con i protagonisti è tale da non lasciare scampo e costringere a proseguire la lettura. Perché è vero, ognuno di noi potrebbe essere (o è) straniero – fuasté – a casa propria o nei confronti di una realtà esterna che non corrisponde a quella della propria coscienza.
In fin dei conti somigliamo a quei bulloni che Mario produce nella sua fabbrichetta: invisibili ma fondamentali, perché senza di loro una macchina non sta insieme, non funziona. I bulloni sono come gioielli … così piccoli, così importanti, che storia! … i bulloni tengono insieme il mondo. E questo, stranamente, è ancora più evidente a chi viene da lontano, a chi non ha radici nel regno degli imprenditori ma che in esso vede l’unica speranza per la propria sfortunata esistenza. Paradossale, perché Mario – il creatore di bulloni – è il primo a sentirsi pieno di dubbi, in bilico sul baratro, ossessionato dall’aiutare prima di tutto gli altri, i suoi operai, i suoi uomini e le sue donne, che l’hanno sempre a loro volta aiutato a tirare avanti la baracca, come una seconda famiglia. La sua prima famiglia è addirittura molto più complicata ma, alla fine, gli restituisce quella pace con se stesso che aveva dimenticato da troppo, davvero troppo tempo.
L’ultimo dei fuasté … suonava come una stirpe gloriosa in estinzione, ma era un’implacabile condanna, stampata nel nascondiglio dell’anima. Eppure, in questa implacabile condanna, ecco trapelare fili di speranze, sorrisi che asciugano le lacrime, fiducia che placa la frustrazione, nonostante l’umanità stia per trovarsi faccia a faccia con un nuovo nemico nell’aria. Tu pensa se doveva essere un maledetto virus a dichiarare a tutti quanto sono utili i nostri bulloni.
Sentimenti profondi e contrastanti che Marilena lascia scivolare attraverso le sue parole fin dentro le nostre viscere, scuotendoci ma regalandoci anche un insegnamento prezioso: c’è un solo modo di fare le cose. E Mario lo sa, così come Malik e tutti quegli altri che sono come noi.
Marilena Lualdi, L’ultimo dei fuasté, Edizioni Progetto Cultura
febbraio 2024
….splendida analisi di profonda introspezione. Suscita il dubbio che forse possiamo essere tutti noi dei fuasté…e che si possa amare il prossimo … come se stessi.. Anche senza i bulloni👍