Lecce, la signora barocca dall’anima gentile

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Terra di castelli e di cattedrali, di olivi dai tronchi severi e di docili viti. Terra di mare e vento, di rocce e declivi, di sapori intensi e di un sole che scalda la pietra. La Puglia è un teatro di scenari talmente vari e contrastanti che pare essere uscita dall’immaginazione di Vittorio Bodini, pensatore e scrittore salentino innamorato dei suoi luoghi natii. Con sguardo rapito, descriveva Lecce come una donna, una donna “la cui memoria è così gelosamente esclusiva da farla sembrare ancora oggi una città del Seicento”

Ed è proprio così, ha l’aspetto di una gran dama, la regina del Salento. Una dama d’altri tempi eppure sempre fresca, seducente, come fosse ogni giorno lavata e spolverata dalla mano grata di un invisibile amante. Ricca di un patrimonio artistico e monumentale d’ineguagliabile prestigio, viene abitualmente chiamata anche la “Firenze del Sud”. In verità, non ha bisogno di prendere in prestito nomi da altre belle signore, perché Lecce ha un carattere tutto suo.

Un carattere che viene da molto lontano. Da un piccolo insediamento messapico sul quale la città è fiorita, e sul quale, nei secoli a venire, si succedettero dominazioni che hanno via via condotto il villaggio originale ad una straordinaria fioritura. A partire dalla dominazione romana, la città ha vissuto una lunga evoluzione, sedimentando culture su culture che ne hanno definito anche il profilo esteriore. Ma la definizione del suo aspetto, con l’esplosione del barocco leccese, si è avuta durante la Controriforma, quando architettura e scultura hanno cominciato a tradire le linee classiche del Rinascimento per adottare uno stile esuberante di forme in movimento. Stile che celebrasse la gloria di Dio e della Chiesa, nonché del potere dei grandi signori committenti. 

Tra il Cinquecento e il Seicento, infatti, la nobiltà leccese, riscattata dalla dominazione spagnola, pretese di avere i propri palazzi di rappresentanza, mentre i potenti religiosi fecero letteralmente a gara per poter vantare chiese e conventi.Primo tra tutti Luigi Pappacoda, che affidò ai migliori artisti la cura degli edifici e di tutti quei dettagli decorativi che, come ricami all’uncinetto, esaltano il volto della città. Fu dunque assoldata una fitta schiera di architetti, scultori, pittori e artigiani, quasi prevalentemente salentini, che seppe letteralmente reinventare il barocco spagnolo in maniera del tutto inusuale.

“Santi di tufo vegliano sulle mura della città a guardia del loro secolo”, raccontava ancora Bodini, esprimendo il profondo intreccio tra l’aspetto esteriore della città e la sua anima, in una mescolanza tra vanità laica e necessità sacra. Eppure Lecce è barocca “dentro”, prima ancora che “fuori”, perchè la famosa pietra leccese che dà vita ai suoi edifici pare scaturire dalle vene della terra, come una polpa carsica, venuta alla luce per essere modellata da un dio terreno. Pietra gentileè infatti definita, per esprimere la sua straordinaria malleabilità e versatilità nell’offrirsi al talento di mani e scalpelli. Ed è altresì curioso che, per essere maggiormente difesa dall’azione degli agenti atmosferici, questa pietra pare venisse bagnata col latte. Un gesto che evoca la maternità, la nascita, la purezza.

In effetti, camminare per le stradine e le piazze di Lecce infonde una sensazione di calma, di piacevolezza, di ben essere, come accomodarsi in un salotto dove ci si sente a casa. Un salotto fatto di ricchi rosoni, minuziosi trafori, intrecci di frutti polposi e di fiori esotici, di animali fantastici e di putti danzanti che accolgono gli ospiti, invitandoli a fermarsi e a rallentare lo scorrere del tempo. E se la Basilica di Santa Croce, Piazza Duomo, la Piazza Sant’Oronzo, o le innumerevoli chiese e i teatri di Lecce sono tappe obbligate per chiunque, è solo lasciandosi trasportare dalle stradine, così a caso, che si entra in sintonia con l’anima della città. Passare dal maestoso rosone di Santa Croce, che pare ipnotizzare lo sguardo con il suo fremito di ricami, ai balconi in ferro battuto accesi di gerani che s’affacciano dalle case sulla quotidianità, fa sfumare in un unico contesto epoche e stili, storia e arte, passato e presente. L’opulenza del barocco si scioglie nella semplicità  della vita quotidiana, e il fervente splendore artistico del Seicento sembra essere ancora palpitante tra le mura della città, trascendendo il suo stesso tempo. Come aveva ben espresso uno dei maggiori critici d’arte, Cesare Brandi: “Sono le strade che fanno la scultura e non viceversa, ecco perché Lecce, la gentile, ha una vitalità artistica che supera quella dei suoi monumenti isolati.” 

E alcune delle strade di Lecce sussurrano inquietanti segreti e leggende millenarie tutte da scoprire, tra magici anfratti e case stregate. Frugando qua e là, per esempio, in Via Federico d’Aragona ci si imbatte nel volto di una fanciulla scolpito nella pietra, in ricordo di un antico amore contrastato dalle famiglie di due innamorati; mentre passeggiando in Via Paladini si può avere la suggestione di udire la melodia di un pianoforte che, si narra, celebra l’anniversario della morte di una giovane pianista suicida, delusa da un amore. 

Sono le pieghe della città, queste, che assorbono ogni giorno i profumi che emanano dalle case e dai ristorantini tipici, dove altre opere d’arte raccontano di antiche tradizioni. Perché è impossibile non lasciarsi sedurre anche dalla cucina di questa città, fiera dei sapori odorosi di macchia mediterranea e mitigati dalla brezza del vicino mare.

Così Lecce, da signora del Seicento, mostrando anche la sua anima più semplice e vicina agli elementari piaceri del corpo, si completa. E, come ben scriveva Bondini, “basta fermarcisi a vivere pochi giorni perché a poco a poco si faccia strada in noi un sospetto stranissimo, che essa non sia un luogo della geografia ma una condizione dell’anima, a cui s’arrivi solo casualmente, scivolando per una botola ignorata della coscienza”.