Il futuro che vogliamo

Immaginiamo un anello. Una circonferenza in cui ogni punto equidistante dal centro può essere inteso sia come partenza sia come arrivo. Pensiamo, ora, a come farne il canone di una nuova economia, in cui ciò che si produce e si usa, poi si riutilizza, in un virtuoso procedere che, anziché disperdere valore, lo mantiene. Come nella legge che de Lavoisier formulò per descrivere l’incedere della Natura: nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma

Allora impariamo ad ascoltarla, la Natura. Impariamo, innanzitutto, che la sostenibilitàabbraccia la sensibilità verso l’ambiente, ma anche il rispetto degli altri, fino a comprendere le generazioni che verranno. Un’attenzione per la società in generale in una visione olistica che trascende i soli interessi individuali. Sfruttare senza depauperare, costruire senza demolire tutto, investire senza invadere: la sfida dello sviluppo sostenibile è tutelare il futuro dagli interventi fatti nel presente, soddisfare i bisogni di oggi senza compromettere le opportunità di domani. 

Dagli anni ’60 – quando si cominciava a parlare di agricoltura sostenibile – al ’72, anno della prima Conferenza ONU sulle politiche ambientali – ad oggi, di strada se ne è fatta tanta, puntando sulla concretezza piuttosto che sugli idealismi. Si è cercato di sensibilizzare la società moderna guidandola verso un modo di produrre e di consumare più consapevole, premiando i comportamenti virtuosi e adottando un approccio trasversale che abbraccia tutti i settori, da quello agricolo a quello industriale. 

Da qui la presa di coscienza che lo sviluppo deve essere necessariamente sostenibile, ovvero la crescita deve osservare tre principi: l’integrità dell’ecosistemal’efficienza economicabasata sull’utilizzo delle risorse rinnovabili e, l’equità socialeintra e intergenerazionale. É il cosiddetto “triple bottom line”, l’approccio proposto dalla World Commissione Environment and Development. O, se si preferisce, la regola delle tre “E”: Ecologia, Economia, Equità. 

Il vero problema del nostro tempo è che siamo protagonisti di un complesso sistema di interdipendenze, di relazioni tra produttori e consumatori, tra detentori di materie prime, trasformatori e detentori di know how, tra pochi Paesi ricchi di patrimoni ambientali in parte ancora incontaminati e molti Paesi prevalentemente inquinatori. Protagonisti sullo scenario di un Pianeta destinato ad esaurirsi se non rispettato, da considerarsi cioè come un sistema finito. Capire, dunque, i meccanismi che legano risorse e consumi, capitale naturale e capitale artificiale, realtà locale e globale, è indispensabile per adottare politiche economiche e sociali compatibili con uno sviluppo sostenibile.

In teoria è facile a dire ma in pratica come operare? Partendo dall’inizio: sia in campo agricolo sia in quello industriale occorre considerare il cosiddetto Life Cycle Assessment (LCA), ovvero il ciclo di vita di un prodotto, dalla culla alla tomba. Ogni prodotto deve nascere, vivere e nonmorire ma rinascere per nuovi utilizzi. Ogni fase di lavorazione, dall’estrazione delle materie prime alla distribuzione, dev’essere portata avanti guardando avanti, cioè ai futuri impieghi della materia di origine (ecologia), alla sua utilità (economia) e alla sua accessibilità da parte di tutti i consumatori (equità). Esempi? Oggi una capsula di caffè usata può essere convertita, per esempio, in una penna stilografica. Così come una bottiglia in Pet può essere trasformata in una maglia in pile. E un tappo in sughero può rinascere sotto forma di materiali assorbenti per il recupero di liquidi inquinanti. La rigenerazione di materiali usati è fondamentale nello sviluppo sostenibile ed è una straordinaria iniezione di altrettanti circoli virtuosi che, con effetto domino, generano lavoro, denaro e benessere. Non è nemmeno un’idea nuova. Basti pensare che a Prato già nel 1850 si recuperavano i ritagli dei tessuti per produrre lana rigenerata e oggi questo distretto è un esempio d’industriosità agli occhi del mondo.

In questo contesto, in cui ogni settore è strettamente intrecciato agli altri, il vero nemico dello sviluppo sostenibile è il “short termism”cioè ragionare e progettare a breve termine per massimizzare il guadagno presente, a discapito di una visione lungimirante, indispensabile per il benessere futuro. Preferendo l’uovo oggi alla gallina domani, si rischia di rimanere senza rincalzi di ovaiole. E qui ci soccorre la saggezza antica, insegnandoci che si raccoglie solo ciò che si semina: la valenza etica del risparmio sta nell’essere consumo rinviato nel tempo, per poter vivere domani con la stessa dignità con cui viviamo oggi.Immaginiamo, allora, la vita sul nostro Pianeta nel 2099 e decidiamo oggi cosa vogliamo lasciare domani ai nostri nipoti. Immaginiamolo, augurandoci che chi leggerà di questo secolo non debba rimproverarci per qualche scelta ottusa, bensì possa ringraziarci per la capacità di aver saputo guardare oltre il nostro tempo. Capiamo, allora, che solo attraverso lo sviluppo sostenibile possiamo dare valore all’eredità che lasceremo. Come cita un detto degli Indiani d’America non ereditiamo il mondo dai nostri padri, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli. Proprio come un anello in cui il punto d’inizio combacia esattamente con il punto d’arrivo. 

Pubblicato su Bubble’s 7 di Aprile-Luglio 2019