Gazzirola, la meraviglia della conquista

“Un diadema che cinge la bella Regina del Ceresio.” Così lo scrittore Valerio Ostini, nel 1935, decantava una delle montagne più invitanti che incorniciano il lago di Lugano – il Gazzirola – che con i suoi 2116 metri tocca il punto più alto della città. Il suo copricapo imbiancato anche in tarda primavera conferma lo slancio audace verso il cielo che, in questi giorni, è particolarmente cristallino rendendo ancor più affascinante la cresta della vetta.

Pare così vicina alla città, tuttavia per raggiungerla realmente bisogna avvicinarsi un po’, almeno fino a Bogno, piccolo borgo della Val Colla, accoccolato tra i fianchi tondeggianti delle pendici già brillanti di verde. Da lì, abbandonata l’auto, si possono dimenticare l’urbanità, il rumore e persino il tempo, per consegnarsi definitivamente all’abbraccio dei faggeti e delle abetaie. 

Forse per qualcuno ogni montagna è uguale, ogni bosco dipinto dagli stessi colori, ogni sentiero simile agli altri, eppure non è così. Ogni montagna ha la sua personalità, così come ogni bosco è un arazzo di colori e di odori diversi, e ogni sentiero è un susseguirsi di emozioni, non solo di scenari, che rendono ogni esplorazione unica. 

Salendo verso il Gazzirola – passando dal Passo San Lucio con l’omonima Capanna e la deliziosa chiesetta medievale – non si attraversa solamente un territorio ma anche un passato in fondo non così lontano. Siamo, infatti, al confine con il suolo italiano dove ancora si avverte l’eco del tempo del contrabbando, il tempo delle bricolle per trasportare le merci più ricercate eludendo il pagamento dei dazi. Si è contrabbandato di tutto passando per questi sentieri, soprattutto caffè, riso, tabacco per culminare negli anni Sessanta con le preziosissime sigarette. Svizzera e Italia unite – o separate – da un passo, tanto che esiste una Capanna su suolo elvetico e, poco distante, un rifugio su suolo italico. E le bandiere dei due Paesi danzano allo stesso ritmo, salutando i viandanti di oggi che risalgono fin qui non più a caccia di merci bensì di sane emozioni e, perché no … anche di rigeneranti pranzi.

La montagna sa alimentare anima e corpo, infatti. E anche lo spirito: il Santuario dedicato a San Lucio racconta la sua toccante storia, forse a pochi conosciuta. Lucio era un bravo casaro che, secondo le leggende del luogo, con i resti del siero scremato preparava del formaggio da regalare ai poveri della valle. Una notte, tra l’11 e il 12 luglio didiversi secoli fa, Lucio fu trovato trafitto da una lama in una pozza di sangue, ucciso per mano del suo padrone invidioso del suo lavoro.

Storia o leggenda, poco importa. È sempre stimolante raccogliere i racconti che i luoghi conservano.

Ma lasciamoci alle spalle il San Lucio, perché il Gazzirola è impaziente di farsi conoscere. Risalire il primo lungo tratto erboso è divertente, poco impegnativo, e mette allegria camminare tra i lunghi solchi di terra che si snodano paralleli lungo il crinale. Somigliano alle dune del deserto, anche per le sfumature ocra accese dal sole fortunatamente ben caldo, perché qui – tra i 1600 e gli oltre 2000 metri d’altezza – l’aria è sempre pungente. Due stagni riflettono i profili delle montagne all’orizzonte e le loro acque ferme, nei mesi più caldi, si tingono di rosso per la presenza di particolari alghe.

Poco più avanti, le sfumature cambiano repentinamente, perché c’è la neve ad accogliermi, a tratti ghiacciata, che s’alterna agli ampi tappeti erbosi ricamati qua e là da mazzetti di anemoni e di bucaneve. Proseguendo, bisogna fare attenzione a non farsi male inciampando nella ramìna, altra storia di questo luogo. Si tratta di resti di rete ossidata e arrugginita che spuntano dal terreno, testimonianza della rete di confine costruita dall’Italia dal 1890. Il suo scopo era quello di impedire il contrabbando, si chiamava infatti “rete fiscale”, e in origine aveva anche dei campanellini in bronzo il cui tintinnio avrebbe allertato le guardie di confine. Dei campanelli ormai non c’è più traccia, probabilmente rubati per il valore del bronzo. 

Un’altra storia affascinante da non dimenticare che il silenzio aiuta a rivivere con la mente. Attorno, solo il sibilo del vento e il tenero cinguettio di piccoli uccelli che nidificano a terra, perché qui gli alberi hanno ceduto il posto agli arbusti, al cielo e all’immenso panorama tutt’attorno. Dalla Val Colla alle Alpi Vallesane, fino al Monte Rosa: in giornate come questa la cornice del Gazzirola si manifesta in tutta la sua imponenza. Un premio per quella fatica e concentrazione in più che gli ultimi metri verso la vetta richiedono … sembrava così vicina! E invece anche questa montagna esige pazienza e dedizione per essere conquistata, passo dopo passo, con la giusta lentezza per gustarne la pienezza. Lo ricorda l’immancabile croce che svetta oltre i 2000 metri, vertiginosamente esposta al forte vento che mescola brividi, vertigini e soddisfazione.

Soddisfazione, sì! Chiudo gli occhi, oscillo insieme al vento e l’irresistibile attrazione per il vuoto come sempre m’impone di tornare ripercorrendo i miei passi che presto saranno ricordi. E come un’illuminazione mi viene alla mente una frase di Goethe che faccio mia e dedico a questa mia piccola grande impresa sul Gazzirola: “La cosa più alta alla quale l’Uomo può aspirare è la meraviglia; e quando il fenomeno primordiale suscita in lui questo senso di meraviglia, si dichiari soddisfatto.”