Voglio raccontarvi una storia triste.
Riguarda Ciccillo, un ragazzo forte e audace, la cui passione è la caccia. Un giorno, forse inseguendo una preda, cade in una grotta sperduta intorno ad Altamura. Il suolo lì è particolarmente friabile, attraversato da acque sotterranee, perciò sotto il peso del giovane cede e la caduta è inevitabilmente drammatica. Non solo Ciccillo si ritrova con un braccio e una scapola fratturati ma, cercando disperatamente di risalire, sbaglia direzione spingendosi sempre più in fondo, nel buio più totale, fino all’abside. Senza più via d’uscita, senza alcun aiuto. Per giorni il poveretto resta immerso nell’oscurità e nella paura, senza poter bere né mangiare, senza poter più sperare se non di morire. E così è.
Oggi, o meglio dal 1993 (anno della sua “riapparizione”), Ciccillo è un personaggio popolare e la sua morte rappresenta un tassello fondamentale per ricostruire la storia dell’umanità, a partire da più di tre milioni di anni fa a oggi. È vissuto 150 mila anni fa – lui – e il ritrovamento del suo scheletro, completamente incorporato nel carbonato di calcio di stalattiti e stalagmiti cresciute nella grotta di Lamalunga, ha consentito di studiarne non solo i tratti somatici ma anche quelli alimentari e quindi comportamentali.
Ciccillo, insieme ad altri 14 personaggi femminili e maschili vissuti nelle varie ere preistoriche, è il protagonista di un libro conturbante, istruttivo e divertente. Come eravamo. Storie dalla grande storia dell’uomo, (Edizioni Laterza, 2022) opera del genetista e scrittore Guido Barbujani, ci prende per mano e ci accompagna in un viaggio lungo migliaia e migliaia di anni racchiuso in sole duecento pagine, attraverso i volti dei nostri più antichi antenati. Volti ricostruiti grazie alle più sofisticate tecniche scientifiche ma anche al genio di chi ha saputo sposare conoscenza e immaginazione, trasformando la narrazione in un vero e proprio film.
Da Lucy, forse la più famosa australopiteca, fino a Ötzi, la cosiddetta mummia umida, il viaggio feroce e temerario a tu per tu con i nostri antenati sfocia fino al suo culmine, rappresentato da Charles Darwin, 200 anni fa, la cui opera – si sa – resta la cattedrale del pensiero moderno e la spina dorsale della biologia contemporanea.
Ma oltre a capire perché abbiamo perso i peli, perché la pelle è bianca o nera, perché le narici sono larghe o strette …oltre al fascino di aver reso più familiari e vicini a noi i nostri antenati, cosa insegna questo libro? Insegna che quell’immagine famosissima in cui sei sagome camminano in fila indiana, partendo da quella più scimmiesca a quella perfettamente eretta, non è altro che un clamoroso errore di rappresentare l’evoluzione! Perché l’evoluzione non è stata un progresso lineare come quest’immagine suggerisce, bensì un concorso di infiniti tentativi avvenuti in parallelo, dei quali uno solo – quello dell’Homo sapiens – è ancora in corso. La presenza di diverse linee evolutive e i tanti anelli mancanti nel ripercorrere la storia dell’umanità se da un lato illuminano dall’altro sprofondano in meandri storici appena intuibili. La scienza non potrà mai dire con certezza cosa è definitivamente vero, però può dire cosa è sicuramente falso. Così, le origini africane dell’umanità non possono essere messe in discussione, analogamente al fatto che la Terra ruota attorno al Sole.
Infine, questo libro insegna a guardarsi con un po’ di umiltà, valutando la nostra attuale “grandezza”, “intelligenza”, “bellezza” (c’è chi direbbe “superiorità”) alla luce dei tormentati millenni da cui, in qualche maniera, siamo usciti fuori. Ognuno con i suoi occhi, la sua pelle, i suoi capelli, il suo cervello, ognuno parte di un’Umanità in cui la classificazione razziale non ha alcun fondamento, perché la genetica ha dimostrato che noi Esseri umani siamo senza razza.
Da una storia triste, una gran bella notizia!
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