Age pride. Per liberarci dai pregiudizi sull’età

Una telefonata: “Indovina! … Sì, ci sarà un nuovo arrivo nella nostra famiglia, finalmente!”

È vero, finalmente! Il più piccolo dei fratelli (35 anni), dopo un anno dal matrimonio, sarà papà e la stirpe proseguirà.

Non so perché ma la notizia, sperata e tanto attesa, riesce comunque a cogliermi di sorpresa e mi commuove, tanto che sento immediatamente lo slancio di condividerla. Con chi? Con mio figlio (27 anni) che al mio messaggio risponde subito “Bene!!!” con tre punti esclamativi e una faccina radiosa come il mio stato d’animo, il che compensa generosamente la sua abituale sintesi comunicativa con i genitori.

Ma soprattutto condivido la notizia con mia mamma (88 anni!) che prontamente, cellulare alla mano, risponde alla mia chiamata whatsapp in vivavoce dall’auto, anche lei entusiasta della notizia perché sa che quest’arrivo rinnoverà la linfa vitale di una famiglia già numerosa ma da troppo tempo immobile.

Il ventaglio di età intrecciate in pochi minuti dall’annuncio di un evento felice, evento che mette un gioioso punto d’inizio a una fase di vita non solo di due giovani persone ma di un’intera famiglia, mi riporta, per una magica coincidenza, ad un libro appena concluso. L’autrice, Lidia Ravera, prolifera scrittrice dalla penna sopraffina, propone in 100 pagine (100 come gli anni che ormai tante persone della nostra epoca riescono a sfiorare, a raggiungere e persino a superare) una requisitoria contro tutti gli stereotipi che condannano chi non è più giovane a credersi e comportarsi come tale. Cioè come vecchio, o meglio, vecchia, perché la narrazione è uno specchio drammaticamente – ma anche ironicamente – lucido della psiche femminile in relazione al tempo che passa e al tempo che resta. 

Il libro s’intitola Age pride. Per liberarci dai pregiudizi sull’età (Einaudi Super ET Opera viva, 2023) e mi ha conquistato non solo perché evidentemente mi sento sulla scia del target ma, soprattutto, per lo stile narrativo che, a mio sentire, somiglia alla melodia sospesa di una danza in tulle e scarpette. Così, il fatto stesso di ritrovarmi faccia a faccia con la realtà dell’ineluttabile scorrere del tempo, con la consapevolezza che io stessa mi addentri in un punto dell’esistenza in cui il mio passato è senz’altro più lungo, più bello, più allegro, più sfrontato, più eccitante, più pieno di passione e di energia rispetto al mio futuro, beh nonostante l’impotenza di fronte a ciò, ecco che la simpatica lamentazione dell’autrice diventa un esempio, un incoraggiamento, una strizzatina d’occhio, una spinta complice e amica per scrollarmi di dosso un’immagine ideale, ingiusta e spesso inadeguata, che ci viene affibbiata. Quella della donna che si avventura con rassegnata mestizia verso la terza parte della sua vita, una seconda parte che, al contrario, può rivelarsi altrettanto avvincente e sorprendente di quella precedente, seppur con le dovute varianti contingenti. 

Ci si può accorgere, tanto per fare un esempio più che eloquente, che si può imparare a sculettare anche con il cervello e che questo saperlo fare dà anche più gusto, perché è una pratica corroborante, una ginnastica che ti mette in salvo su tempi lunghi e imprevedibili

Quest’immagine così completa solleva una delle più insormontabili ingiustizie che la donna, invecchiando, deve affrontare rispetto all’uomo, ancora produttivo al pari dell’età, eterno Peter Pan. Uno scotto psicologico, soprattutto, perché molte, moltissime donne anche dopo i sessant’anni ospitano un’anima ancora fiorita, profumata di primavera e assetata di sole, tutt’altro che arida. Tanto quanto quella degli uomini.

Ma come manifestarlo, come osare esprimerlo con naturalezza, disobbedendo ai contorni di sembianze scolpite dallo scalpello delle esperienze collezionate? “Io mi sono rovinata giovinezza e maturità per la paura di invecchiare. Ora sono vecchia e felice come non sono mai stata. Piena di energia pulita, libera e leggera.”

Ecco, penso che ognuna, e ognuno, possa individuare la sua maniera personale per invecchiare allegramente, da vivi e non da “già defunti”. Come dice Lidia, ogni età è un Paese straniero, dove appena si arriva ci si sente smarriti. Ma poco a poco ci si abitua, ci si sente a casa e si vorrebbe rimanere sempre lì, perché si sta benissimo. Tuttavia, non è possibile fermarsi, non si può scendere dal Tempo ma si può smettere di averne paura e di rimpiangere quello precedente.

Io imparo da mia madre, una vera atleta del Tempo, e per questo la ringrazio, sicura che sarà di prezioso esempio anche a mio figlio, suo nipote. Futuro papà, se vorrà un giorno.

E con questo torno all’origine del discorso: la lieta notizia. Un pensiero dedicato alla futura mamma, e al papà, colto direttamente da queste pagine, danzanti fino all’ultima nota. “La semplicità dell’amore materno mi ha sorpresa. Era così profondo e puro da non aver bisogno dei miei aggettivi. Incominciai a pensare al futuro includendo il bambino che cresce. Decisi per lui, per lei, di revocare quella decisione un po’ farsesca di suicidarmi prima che mi scoprissero vecchia. Non ero più la padrona assoluta della mia vita, ero funzione della vita di qualcun altro. Perciò mi sarebbe toccato vivere fino alla fine.”

Una fine ancora lontana, molto lontana.