Sabai Sabai, tra luci e ombre

Pensavo che tornare in Thailandia dopo appena dodici mesi sarebbe stato come rivedere un bel film. Un appuntamento piacevole certo ma, tutto sommato, un déjà vu. Invece no! 

Oggi, da poco tornata a casa, ripensando ai tramonti, alle albe e agli scenari di questa terra ricamata tra mare e cielo, posso dire che, per quanto sembrino identici nella loro ciclicità, gli stati d’animo che suscitano sono ogni volta nuovi e lo sguardo non si disinnamora mai. A maggior ragione in questo momento particolare della nostra vita, momento reso oscuro dagli avvenimenti virali che coinvolgono le menti e sconvolgono gli animi di tutti, senza distinzione e senza confine. Momento, dunque, più che mai assetato di luce, di chiarezza, di bellezza.

Tornando col pensiero ai miei giorni laggiù, capisco che il senso di libertà assaporato quest’anno volando per le strade di Khao Lak e di Phuket a cavallo di uno scooter, con il sole sulla pelle e il vento tra i capelli, è stato spesso minacciato dai pensieri per ciò che sta ferendo l’umanità. La sensazione era spesso di confusione, di sdoppiamento: come se mi trovassi dentro una bolla trasparente, leggera ma protettiva, e da questa posizione privilegiata mi pareva di osservare il mondo scorrere fuori, proprio come un film. In primo piano, le spiagge dorate che s’allungano sul Mare delle Andamane, spiagge immense da cavalcare in silenzio a piedi nudi, dialogando con le proprie emozioni…, la foresta intricata e ricca di segreti e di piante felici, con le sue invisibili voci, musiche tribali orchestrate da sconosciute specie d’uccelli e da cori di cicale che s’accendono e si spengono a intermittenza, forse in attesa di un applauso … , gli odori penetranti dei chioschi, dei mercati e dei piccoli ristoranti che invadono di desiderio le narici: curry, cocco, aglio e peperoncino ovunque, dalle strade fino al mare, in un rincorrersi di stimoli che rimescolano tutti gli appetiti… e ancora, i bagliori d’oro delle notti calate sul mare, collanine di stelle appese su un sipario di pece trapuntato a metà di piccole luci verdi in fila come tante lucciole: le barche dei pescatori a caccia del prezioso bottino per il giorno che verrà.

Tutto questo scorreva davanti alla mia bolla trasparente durante quei giorni fortunati. Ma dietro questo primo piano, ecco aprirsi un altro sipario. Quello sul resto del mondo, un resto del mondo che mi si scaraventava addosso attraverso le notizie dei giornali precipitate come bombe in tempo reale fino là, in un’oasi apparentemente (e ancor per poco) immune al veleno dilagante. Paradossalmente era proprio da “casa mia” che arrivava il male, là dove erano rimaste le persone appartenenti alla mia quotidianità che, con apprensione, mi suggerivano “non partire, sei matta, è pericoloso là …” 

Ma l’assurdo è sempre in agguato nell’esistenza umana! E anche questa volta si è manifestato così, penso, in un capovolgimento grottesco del mondo: io catapultata in una fetta di Thailandia ancora quasi del tutto sana, per quanto se ne sapesse, e dall’altra parte il resto del mondo colpito da un emorragico male venuto dall’Oriente. Anche il tempo sembrava essersi scisso in due diversi modi di scorrere: uno (quello thailandese) lento, indolente, rassicurante; l’altro (quello del resto del mondo) precipitoso, urgente, esplosivo!

Inevitabile, dunque, aver assaporato il piacere della vacanza con un retrogusto amaro, provocato dall’incertezza, dall’impotenza e dalla condizione passiva di chi può solo osservare, prendere atto,  adeguarsi e, per quanto possibile, aprire una vena empatica verso gli altri. Il sorriso dei Thailandesi, il loro musicale saluto “sawasdee” e la mistica bellezza di questa terra mi hanno però aiutato a non aver paura e a non farmi travolgere da emozioni negative. Quando si è impotenti, del resto, tanto vale fare scorta di energia positiva, di speranza, di ottimismo perché anche questi valori possono essere contagiosi e creare un effetto domino virtuoso. E così è stato.

Oggi, che sono tornata e mi ritrovo calata anch’io in quel resto del mondo malato e combattente, mi sento forte di un’esperienza felice vissuta con un po’ d’incoscienza, forse, ma senz’altro guidata da quell’invisibile mano protettiva che puntualmente mi accompagna nella mia esistenza. Finché lo vorrà. Così, costretta dall’evoluzione degli eventi a restare più in casa, riprendo il filo di quei giorni e lo srotolo qui, tra queste righe un po’ controcorrente rispetto a tutto quello che si legge sui giornali e in rete. E tra le luci e le ombre che si alternano in queste ore nella mia mente, simili ai cori intermittenti delle cicale, prevale un impalpabile sentimento di pace, di fiducia e di sicurezza che vorrei potesse contagiare chi si sente più fragile ed esposto di me.

Prendo in prestito ai Thailandesi un loro comune modo di dire: “Sabai Sabai”, ovvero “tutto bene, non ti preoccupare”, che per questo popolo gentile non è semplicemente una frase bensì un modo d’essere, una filosofia di vita da adottare anche quando tutto sembra remare contro. Ecco, speriamo che anche questo Sabai Sabai non conosca confini e si trasmetta ovunque con la velocità e la potenza necessarie a far ripartire il mondo ancora più forte di ieri.