Padroni dei nostri sogni

Mi trovo nel giardino di casa mia. Quello dove sono cresciuta, in Italia. È una splendida giornata di sole e le piante luccicano di un verde brillante che mi incanta, esattamente come quando ero bambina.

Tutto ad un tratto sopraggiunge un folto gruppo di uomini orientali, piccoli ma severi, con la pelle trasparente e i capelli corvini. Non so come ma capisco la loro lingua: ordinano a tutti i giovani del mondo di cambiarsi d’abito, di indossare delle tute blu fornite da loro e di trovarsi pronti per partire entro due ore esatte. Dopo di che spariscono alla mia vista, come uno sciame di insetti richiamati da un segreto ordine.

Di fronte a me sta una donna bionda, snella ma atletica, sembra stia facendo ginnastica. Ma è chiusa dentro una scatola di vetro ed è triste, rassegnata. I nostri sguardi si incontrano e senza dire alcunché ci capiamo: lei ha in mano una piccola scatola con un tasto blu, io scopro di averne una uguale con un tasto rosso.

Aspettiamo attimi che sembrano secoli, o viceversa, perché qui il tempo non ha logica. Solo questo sappiamo: se i giovani si presenteranno per partire con lo sciame orientale, lei dovrà premere il tasto blu, io quello rosso.

E così è. La partenza è imminente. La donna sempre più triste appoggia tutta la mano sul tasto e scompare nel nulla insieme alla sua scatola di vetro. Io so che la sua missione è quella di fare esplodere tutta l’umanità giovane prima che venga reclutata da chissà quale orribile macchina da guerra.

Ora tocca a me. Appena il tempo di dire addio ai volti delle persone che amo ed ecco che affondo un dito sul tasto rosso. Insieme a me scompare tutto il resto dell’umanità, quella adulta. Questa la mia missione.

Un profondo senso di soffocamento mi scuote da quello che è stato l’ultimo sogno di quest’alba.

Dentro il letto immensamente vuoto, tutta la vividezza di immagini, simboli e significati ancora scalpitanti nella mia mente e, soprattutto, nel mio animo.

Cinque anni di psicoanalisi junghiana e numerose letture sulla materia mi hanno avvicinato assai al mondo dell’inconscio e alle dinamiche oniriche, per questo non ho potuto ostentare indifferenza nei confronti di questo grido dal profondo. 

Il messaggio di fondo è chiaro a chiunque, vista la situazione in cui siamo accomunati da due anni. I dettagli sono invece intrecciati al mio vissuto e li raccolgo con cura, come fossero fragili pezzi di me sparpagliati in una storia non mia.

Alla luce di questo vissuto onirico, mi accorgo quanto profondamente gli eventi di questi due anni ci abbiano cambiato. Non solo nei rapporti esteriori, sociali, affettivi, non solo nel modo di pensare, di parlare, di atteggiarci ma molto, molto più “dentro”. Perché anche le persone che, come me, hanno cercato dannatamente di mantenere un’apparente serenità malgrado la grottesca realtà, prima o poi devono affrontare l’inconscio, con i suoi fantasmi, le sue paure e le sue verità. 

I sogni sono quanto più di intimo possediamo, sono lo specchio del nostro animo. Non importa ricordarli esattamente, c’è chi li dimentica all’istante, tuttavia il loro lavoro è sempre all’opera, come un fiume carsico leviga la roccia sotto la superficie della terra.

Mi fa rabbia il fatto che anche i miei sogni sempre colorati, quelli in cui ogni notte mi rifugio tanto volentieri, siano stati contaminati da una follia generale al di fuori della mia portata. Mia e di tutti noi, giovani e adulti. Chiusi dentro a scatole di vetro o illusoriamente liberi di scorrazzare in giardini verdeggianti. 

Sì, mi fa rabbia e mi domando se mai torneremo ad essere padroni almeno dei nostri sogni.