Nonunanuvola nel mio rifugio

Gli occhi colmi di verdi e di azzurri. Le narici sature di erba e di fieno. La mente sgombera di fardelli e di veleni.

Ci voleva proprio un’escursione in montagna oggi, perché camminare a lungo a due passi dal cielo aiuta anche a purificare l’anima, oltre che ritemprare il corpo. Raggiungere il Ritom è sempre un’emozione. Così calmo, così imponente, così accogliente. Le sue acque blu infondono rispetto, si lasciano ammirare, soppesare e oltrepassare. Così, a partire dalla diga, il cammino prende il ritmo dei pensieri. O viceversa.

“Distanza sociale …” penso che ci abbiano addomesticato proprio bene durante questi due anni. Ci hanno insegnato che, per essere più sicuri, è bene stare lontani, fisicamente lontani, per non contaminarsi a vicenda, per proteggersi a vicenda. Quanto lontani ? Beh, almeno due metri …! 

Ebbene, penso che oggi, rispetto a un anno fa, si sia arrivati a dover sopportare ben oltre la distanza fisica. Anzi, quella pare irrilevante ormai. Ma quella interiore, quella mentale, quella ideologica e, oserei dire, quella sentimentale è chilometrica, abissale.

Il mondo, oggi, mi appare spaccato in due, come se la terra che sto calpestando fosse improvvisamente squarciata da una profonda voragine che costringe a stare in bilico prima di saltare, prima di decidere da che parte stare. A destra per ritornare a valle, o a sinistra per proseguire in vetta.

Eppure, penso – mentre sento che il lago Tom sta per affacciarsi dietro un’ansa della montagna – penso che ci dev’essere da qualche parte un ponte che unisca i due fianchi della terra. Un ponte che cucia due estremi e consenta, magari, una sosta, un momento di quieta meditazione.

In fondo, proprio a questo serve la montagna: a trovare la quiete, a ricapitolare con se stessi, a far chiarezza dentro di sé, proprio come il cielo di oggi sopra la mia testa. 

Nonunanuvola, così battezzo questo giorno di insperata serenità, sorto tra i veleni seminati dalla comunità impazzita e cieca che domina gli spazi mediatici.

Via, sgombero definitivamente ogni grigiore e mi tuffo nelle infinite sfumature di verde che il lago Tom regala. Acqua e montagna si rubano l’abito, si fondono e confondono, tanto che entrando nelle acque del lago ci si sente avvolti dall’abbraccio materno della terra. Sa di rinascita.

Si sta bene qui, si è davvero lontani da tutto il frastuono che ci bombarda pretendendo ascolto.

Silenzio, solo il fischio delle marmotte e qualche campana di mucca che risuona oltre la vallata. Sembra una musica, un concerto per pochi eletti, ospitato in un piccolo grande anfiteatro naturale.

Una volta ripreso il cammino, le gambe giovano dell’effetto sferzante dell’acqua gelida e lavorano con ritrovato vigore. Così è per la testa, effervescente di nuovo ottimismo.

Si incontra gente lungo i sentieri verdeggianti, il sorriso è spontaneo e il saluto è naturale, perché la montagna unisce a dispetto delle distanze imposte.

Ed ecco che un altro pensiero colora la mia mente: penso alla parola “rifugio” che spesso compare sulla segnaletica gialla di queste montagne. Si va al rifugio dopo un lungo cammino, per ripararsi dal freddo, dalla stanchezza, dalla fatica e per rifocillarsi. Ma, in fondo, si è già al rifugio all’inizio del cammino, nel momento stesso in cui si entra in contatto con la natura incontaminata come quella che mi sta accogliendo oggi.

Il rifugio è interiore, mentale e spirituale. E nessuno può portarcelo via.