Sette giorni di libertà. Era lo scorso 17 febbraio che la Svizzera festeggiava il freedom day, l’abolizione di limiti e obblighi dettati dalla pandemia, dopo due anni di soffocanti oppressioni sociali e psicologiche.
Nemmeno il tempo di respirare a pieni polmoni il clima di ritrovata spensieratezza che un’altra catastrofe, purtroppo annunciata, torna a sconvolgere gli equilibri di un mondo ancora claudicante.
È il 24 febbraio, il war day. Spazzata via con feroce disinvoltura l’euforica leggerezza dipinta sui volti sorridenti della gente, ecco gravare l’ombra cupa di una guerra che, se pur relativamente lontana, ci tocca tutti da vicino.
Così, paradossalmente, sembra di essere ritornati indietro di due anni, nel febbraio 2020, quando avanzava un nemico invisibile, sconosciuto, subdolo, grottesco. Un nemico senza divisa né armi né bandiera. Solo un nome, una sigla, a quel tempo ancora misteriosa che, con il suo impalpabile arsenale, cominciava a scavare dentro molti di noi, seminando paura e minacciando vertiginosamente l’intera umanità.
Da una guerra a un’altra. Ma c’è guerra e guerra. Quella scatenata dal virus aveva, almeno inizialmente, reso tutti più uniti, emotivamente stretti l’uno all’altro, accomunati dallo stesso inconsapevole destino, fiduciosi che la formula “insieme ma distanti” avrebbe funzionato. Quella scatenata dall’uomo, al contrario e come sempre, divide, lacera, annienta e alimenta reciproca cattiveria, provocando ferite a effetto domino.
La sensazione è di dolorosa impotenza, ancora una volta inermi di fronte al volere del potere. Siamo già tutti parte di pagine di storia, pagine che non si vorrebbero mai leggere ma, soprattutto, che non si dovrebbero mai scrivere.
Eppure, evidentemente la natura umana obbedisce a profondi archetipi ai quali non si sottrarrà mai. Così come la società umana percorre cammini evolutivi (e involutivi) tanto ciclici quanto imprevedibili, almeno per chi desidera semplicemente vivere la propria vita nell’illusione di essere libero.
Illusa anch’io. Oggi ho notato i primissimi boccioli di una magnolia, il sole li carezzava come a volerne incoraggiare l’esplosione alla vita, il vento li sfidava a farsi forti nella loro delicatezza. La gente camminava per la piazza del centro, apparentemente incurante di quei piccoli petali di velluto bianchi e rosa, e mi è sembrato un peccato. Peccato non soffermarsi su tanta bellezza … “peccato che dura poco, perché tutte le cose belle durano poco …”.
Ecco, spero che questa volta, invece, siano le cose brutte a durare poco. Anzi pochissimo.
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