In legno, in pietra, in cemento o in ghisa. Sinuose, squadrate, con braccioli e schienale o senza.
È l’oggetto pubblico tra i più ricercati, in questi ultimi mesi. Nelle piazze, nei parchi, sul lungolago o sul lungomare, ad ogni ora della giornata l’appuntamento con la panchina è diventato un’abitudine per chiunque ami stare all’aria aperta. Per chiunque voglia godersi una sosta dopo una camminata, o desideri appartarsi a chiacchierare con un amico, o, ancora, voglia gustarsi in santa pace l’ennesimo pranzo take away.
Il problema è che le panchine urbane risultano sempre più insufficienti rispetto alla crescente richiesta e la caccia per accaparrarsene una libera è serrata, soprattutto in certi orari.
Questo oggetto d’arredo civico, oggi simbolo di una convivialità frustrata, rassegnata, se non addirittura malata, ha radici antiche che forse pochi conoscono.
In origine la panchina era una tavola piuttosto stretta, in legno, che si appoggiava su due assi verticali. Era semplice e funzionale e veniva usata ai lati del tavolo per sedersi e mangiare, oppure all’aperto, nelle aie, dove i contadini riposavano, soprattutto in estate.
Addirittura, la panca così concepita è nata molto prima della sedia. In principio era senza schienale e obbligava a tenere una postura scomoda e innaturale. Le prime panche con schienale, simili alle attuali panchine, risalgono al Rinascimento e sono frutto dell’ingegno artistico toscano.
Nel corso dei secoli la forma delle panchine si è addolcita, il sedile si è fatto più accogliente e spesso la seduta è completata da braccioli e schienale.
Ed eccoci, appunto, ad oggi. Un paio di amici seduti su una panchina, all’ombra a chiacchierare. Sul lato opposto della strada un bar troppo affollato per poterli ospitare, meglio accontentarsi della panchina, dunque. Dopo pochi istanti, altre due persone si uniscono agli amici, alimentando chiacchiere e risate, pur dovendo rimanere in piedi attorno alla panchina. Finché un’altra passante si aggrega al piccolo gruppo, portando altra allegria al momento già conviviale. E così via, il tempo scorre in allegria.
Questo quadretto ormai diffuso, di cui sono stata spesso anch’io protagonista, mi ha fatto pensare alla panchina come qualcosa che va ben oltre lo strumento per cui è stata in origine concepita. L’ho avvertita come un luogo non solo fisico e limitato ma psicologico e diffuso. Un luogo di attesa, di sospensione del tempo, dove la sosta è volutamente e piacevolmente dilatata e diventa spesso occasione di aggregazione.
In questo spazio temporale, possono concatenarsi moltissimi avvenimenti, incontri e scambi di pensieri. È un’occasione che unisce gli amici ma allo stesso tempo li isola e e li separa dal resto del mondo. Perché la panchina, nel momento in cui la si utilizza, appartiene solo ai protagonisti, diventa proprietà privata dalla quale ci si affaccia all’esterno e si osserva chi cammina, chi resta fuori. Magari anche loro in cerca di una panchina amica su cui sostare e aspettare …
Ho qualche felice ricordo! Ogni tanto ripasso a far piacere alla memoria un parco segnalato da una vecchia ciminiera affiancata a una polla che si mantiene vedova di acqua sorgiva e sarà destinata all’appassimento di erbe dimenticate dai rarissimi visitatori! I più ragazzini in erba lanciano anche oggetti ora anche nell’emozione di un ricordo, anche senza panchina…