Il piccolo sopravvissuto

Ci sono notizie che nessun giornalista vorrebbe mai scrivere. Tragedie per cui le parole non riescono minimamente a sfiorare il dolore della realtà. 

Eppure, grottescamente, sono proprio queste le notizie che più vengono lette. Quelle in cui i fatti tragici, nell’istante stesso in cui vengono annunciati, si condiscono via via di dettagli altrettanto vividi e mostruosi che trascendono la cronaca. Nomi, volti, età, origini, storie di vite che, paradossalmente, diventano protagoniste proprio a causa della loro brusca fine.

La natura umana non resiste. Scava, fruga, vuole sapere tutto su chi ha perso tutto. Diventa persino più importante immaginare chi fossero le vittime dell’incidente, piuttosto che cercare di capire perché l’incidente è capitato. 

Da un lato quest’atteggiamento ci fa somigliare a tante mosche, insistenti, avide, irrimediabilmente attratte dall’odore della morte, mosse forse nell’inconsapevole spinta ad esorcizzarla. Pulsione e repulsione. Dall’altro lato è un comportamento comprensibile, perché un dramma umano, soprattutto se avvenuto vicino a noi, fa scattare immediatamente una reazione di empatia verso il dolore di chi è stato coinvolto. 

Ognuna di quelle persone spezzate siamo noi. Avremmo potuto essere noi e sentiamo sottopelle la paura, l’orrore, le grida, l’ultimo istante di luce. Ma sentiamo anche la gioia, l’eccitazione, il desiderio di libertà, di regalarsi finalmente una giornata di vacanza, di spensieratezza, insieme ai propri figli, ai propri nonni, ai propri fidanzati. Prima del buio.

Questo acuisce i brividi di chi assiste al dramma. Fa male e fa rabbia. Perché non basta puntare il dito, non basta trovare cause e responsabilità per acquietare l’anima, per digerire una ragionevole motivazione a qualcosa di così fatalmente ingiusto.

Le notizie della tragedia si moltiplicheranno ancora, i video rimbalzeranno fino a farci sentire il cigolio dei ferri sospesi in aria e ora desolatamente aggrovigliati a terra. Al momento, però, resta vivo anche un filo di speranza. Uno solo, pallidissimo ma potentissimo, forse più tenace di una fune d’acciaio.

“Il piccolo sopravvissuto ce l’ha fatta”. Che sia questa la prossima notizia che ogni giornalista vorrebbe poter scrivere e che tutti noi vorremmo leggere.