Sua maestà il Pilatus, una montagna di leggende

Chi dà i nomi alle montagne? E perché alcune hanno nomi assai bizzarri? 

La curiosità mi nasce osservando il Monte Pilatus, appena arrivata a Lucerna in un pomeriggio ottobrino acceso da un sole ancora generoso. Il grande Lago dei Quattro Cantoni rimbalza il foliage dei fianchi collinari ricamando giochi cromatici degni del pennello di Turner, anch’egli stregato dalla natura di questi luoghi. 

Ebbene, oltre alla cornice rosseggiante che ammanta il lago di romantica bellezza, m’incanta il Pilatus, il monte severo che s’erge al di là della città vecchia. Mi son sentita inspiegabilmente attratta dalla sua grigia solennità. L’ho percepito prepotentemente virile, al contrario del Rigi, la Regina delle Montagne, l’altra vetta affacciata sul lato opposto del lago, più mansueta e materna. Ho immaginato un silente dialogo tra le due montagne, come fossero due dimensioni – maschile e femminile – unite seppur separate dalle acque lacustri. Yin e yang, forze complementari e opposte di un Tutto armonioso.

L’amore a prima vista mi ha portato a concentrarmi sul Pilatus, diretta nel cuore dei suoi segreti, a partire  dall’origine del suo nome. C’è da dire che fino all’avvento delle scalate alpine, cioè fin verso il 1700, i picchi più alti non venivano battezzati. A meno che una cima non rappresentasse un punto di riferimento, solo i passi e i pascoli montani meritavano un proprio nome. 

Il Pilatus deve il suo a Ponzio Pilato, il cui corpo suicida, in seguito ad inimmaginabili peripezie, dal Tevere fu scaraventato prima nel Rodano e in fine nelle acque di un laghetto nascosto tra le cime più maestose del Lago di Lucerna. Cime che, appunto, presero il nome di Pilatus. 

Piace raccontare che ogni venerdì santo Ponzio Pilato riaffiorasse dalle acque per lavarsi le mani insanguinate, avvolto in una toga purpurea. Da quel momento la vetta del Pilatus fu costantemente martoriata da grandine, fulmini e saette, tanto che il Vescovo di Lucerna tentò un esorcismo. In fine, dovette venire a patti con l’anima di Pilato, il quale avrebbe restituito alla montagna la sua quiete in cambio di poter emergere dal lago una volta al mese ma … chiunque l’avesse visto sarebbe morto entro un anno. Ecco che da lì cominciarono a verificarsi morti improvvise nei villaggi, mentre violente tempeste tornarono a imperversare sulla vetta, provocate da chi, sfidando l’anima di Pilato, s’arrampicava fino al lago e vi gettava pietre in segno di sprezzo. Così, l’accesso al Pilatus fu proibito fino a che, nel 1585, il curato di Lucerna insieme ad altri arditi raggiunse il lago per debellare lo spirito maligno. Finalmente la vetta desacralizzata del Monte Pilatus fu conquistata dall’uomo e la vittoria del bene sul male fu annunciata dal suono dell’Alpenhorn. 

Ma al di là del suo nome, il Pilatus nasconde altre perturbanti storie, rivelate dal drago rosso, emblema della montagna e della sua rete di trasporto. Rosso come il fuoco sparato dalle bocche degli spaventosi draghi, creature possenti e inquietanti che si narra popolassero il monte nei tempi antichi. Molte storie hanno per protagonisti draghi maligni e sanguinari, altre invece ritraggono draghi clementi, come quelli che avrebbero risparmiato un ragazzo caduto in una grotta, accudito e riportato in libertà sulla coda di una delle creature alate.

In onore dei draghi, è stato scavato nella roccia un sentiero, il Drachenweg, una specie di tana che si snoda nella pancia rocciosa del monte, dalle cui finestre lo sguardo prende il volo sugli idillici scorci montani. E con un po’ di fantasia qualche draghetto pare di vederlo aleggiare nel blu, insieme agli immancabili corvi neri.

Dalla leggenda alla realtà, o viceversa … perché una volta arrivata in vetta, il Monte Pilatus si rivela ancora più affascinante. Sarà per il tragitto su trenino a cremagliera più vertiginoso – si dice – al mondo, sarà per la sacralità delle conifere che s’allungano fitte verso il cielo in cerca di luce, sarà per il contrasto tra i colori accesi del bosco e i profondi grigi delle rocce, sarà per il vento tagliente che a 2132 metri d’altezza dà prontamente il benvenuto. Sarà … ma questa montagna sembra davvero frutto di una fervida fantasia che ha voluto addomesticare picchi e strapiombi costruendoci sopra tutto ciò che i turisti cercano, dall’hotel, ai negozi di souvenir, alle terrazze panoramiche.

È il destino del successo, si sa. Eppure, se solo si riesce a staccare il filo conduttore con questi “optionals” e si cerca il contatto puro con la montagna lo si trova.

Affacciata a una balaustra, guardo in basso, dove son partita per arrivare quassù. Rivedo me stessa salpare sul grande battello bianco, da Lucerna verso Alpnachstad, attraversare i lembi azzurri del lago, addentrarmi tra le anse morbide dove s’accoccolano villaggi da favola, senza mai perdere d’occhio il mio traguardo roccioso all’orizzonte, carezzato dalla bandiera rossocrociata che sventola a poppa. Verdi pascoli, pinete vermiglie, pallide casupole. Tutto è quiete laggiù. Ed eccomi qui ora, dalle sue falde alla sua cima, percorrendo in poche ore secoli di vita che hanno portato il Monte Pilatus ad essere ciò che è oggi: da montagna interdetta all’esplorazione perché spiritata, ad una delle attrazioni più scenografiche della Svizzera.

Volendo, una cabinovia panoramica – rigorosamente rossa – completa l’anello e riporta in pianura, verso Kriens, dove altre attrazioni spettacolari rapiscono i turisti. Ignari d’essere forse osservati da qualche creatura serpentiforme, volata via dalle leggi della razionalità e custodita gelosamente tra le rocce ruggenti di sua maestà il Pilatus.