Immaginiamo di approdare su una piccola isola dal cuore immenso. Le frange azzurre del cielo sprofondano nel blu del mare più africano d’Italia in cui si specchiano distese di roccia vulcanica ravvivate dall’improvviso eruttare della vegetazione. Questo arazzo mediorientale riassume tutto il bello e il buono che questo luogo magico promette, in parte frutto di Madre Terra, in parte opera della passione umana.
Siamo a Pantelleria, perla di Sicilia, incorruttibile alle seduzioni della mondanità, fedele alla sua natura selvaggia e al contempo riservata. Non è un caso, infatti, che un poeta come Gabriel Garcia Màrquez se ne innamorò quando, oltre cinquant’anni fa, arrivò qui cucendo con l’isola nera un profondo legame. È sorprendente il fatto che, dopo mezzo secolo, si possa ritrovare nelle parole dello scrittore la stessa isola che gli si presentò agli occhi allora. “Non credo che esista al mondo un luogo più adatto per pensare alla luna. Ma Pantelleria è più bella. Le pianure interminabili di roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta di calce dalle cui finestre si vedono, nelle notti senza vento, i fasci luminosi dei fari africani …” così ricama Màrquez, trasportando il lettore dalle sue pagine al romanzo pantesco che si svolge ancora tutti i giorni qui.
È questo il segreto del suo fascino: l’anima illibata di un’isola che per scelta, al contrario di altre, non ha tradito le proprie radici. Pare strano parlare di radici quando si è su un’isola, eppure la maggior parte dei tesori che Pantelleria custodisce, e offre, vengono proprio dalla terra. Qui l’agricoltura non è mai stata sfruttamento, bensì simbiosi con la natura. Si tratta di un’agricoltura eroica, millenaria, sfociata in un’antropizzazione del paesaggio che è avvenuta nel rispetto dei suoli, diversi da zona a zona, tutti straordinariamente fertili. Allo stesso modo, i microclimi differenti da contrada a contrada, secondo l’altezza dal mare (che supera gli 800 metri con la Montagna Grande), hanno stimolato coltivazioni diverse che hanno contribuito a dipingere la fisionomia di Pantelleria. Albicocche e pesche, agrumi e fichi, insieme alle piante di ulivo e zibibbo profumano l’isola di sapori antichi e immutati, trasportati da quello che resta il comune denominatore a tutte le coltivazioni: il vento. Vento molto spesso inclemente che ha costretto gli abitanti ad ingegnarsi per difendere le colture. Ecco, allora, che ha un senso l’esasperata potatura delle piante di ulivi centenari, così come si capisce perché i vigneti di zibibbo siano coltivati in conche e vengano potati in modo da arrivare a sfiorare appena il suolo.
Quest’immagine di “piattezza”, insieme ai terrazzamenti con muretti a secco necessari per accumulare calore, oltre che per smorzare il vento, traducono la personalità dell’isola, trasmettendo un senso di mansuetudine, di quiete, di rassicurazione. È come se lo stesso visitatore, venendo qui, venisse in qualche modo accolto e protetto dalla cura della gente. Anche i dammusi da costruzioni funzionali – con i tetti a cupola per convogliare la scarsa acqua piovana, i muri spessi per isolare da caldo e freddo, e il “Jardinu” in pietra lavica che abbraccia gli alberi da frutto riparandoli dalle raffiche di vento – diventano elementi non semplicemente rurali ma “umani”, che raccontano la quotidianità dei panteschi.
Sotto questa visione un po’ romantica, tuttavia, cova anche un importante valore naturalistico e culturale. Basti pensare che la pratica della coltivazione della vite ad alberello, tipica di Pantelleria e di poche altre isole del Maditerraneo, è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Altra gemma offerta da questi suoli è il cappero, re degli arbusti spontanei, che con i suoi fiori bianchi e rosa screziati di viola, è considerato l’orchidea dell’isola. La pianta di cappero è un miracolo della natura, caparbia, tenace, coraggiosa oltre ogni limite e in questo somiglia un po’ a Pantelleria. Anche i cappereti disegnano l’aspetto dell’isola: quando ad aprile le piante si risvegliano, le gemme si schiudono come dopo un lungo sonno e danno origine ai nuovi rami fruttiferi. Le piantine producono anche i cucunci, fiori bellissimi simili a orchidee che, lasciati sui rami, appassiscono e sviluppano bacche di un paio di centimetri. Se per i botanici questi sono semplicemente i frutti che contengono i semi della pianta, per i panteschi, che ragionano col cuore, sono i cucunci, gioielli della natura.
Non solo terra però. Siamo su un’isola e l’acqua ne è l’anima. Acqua di un mare che invita ad esplorare Pantelleria anche in barca, lasciandosi risucchiare da calette di cobalto ricche di testimonianze dei trascorsi commerciali cartaginesi e romani, alcune delle quali esposte nel Castello. Fascino marino, in cui albe e tramonti fanno a gara per essere più belli delle notti stellate. Ma anche fascino lacustre, come esige il Lago Specchio di Venere, nel cuore di Pantelleria, in cui l’omonima dea si specchiava prima di incontrare Bacco e le cui acque termali invitano a una voluttuosa sosta all’ombra della leggenda. Insieme alle vasche di Gadir, alle acque calde di Sataria e al bagno asciutto di Benikulà, lo Specchio di Venere fa di Pantelleria una Spa naturale a cielo aperto.
Non è leggenda, invece, il patrimonio enogastronomico pantesco: una realtà riconosciuta in tutto il mondo, dai capperi all’olio, dall’uva passa ai mieli, fino ai vini artigianali dalle tradizioni secolari. Patrimonio per il quale Pantelleria meriterebbe d’essere denominata “The Good Food Island”: l’isola in cui l’eccellenza delle materie prime si declina in altrettante prelibatezze a tavola, dalle caponate e insalate fino ai baci panteschi, in una giostra di ricette contadine e marinare da perdere la testa. Sovrano indiscusso tra i vini dell’isola è il Passito, l’oro giallo di Pantelleria, ricavato esclusivamente dall’uva di Zibibbo, che con la sua dolce avvolgenza continua a collezionare premi e riconoscimenti a livello internazionale. Tanti sono i produttori enologici dell’isola, donne e uomini che con passione hanno contribuito al successo dei vini di Pantelleria. Tra loro Salvatore Murana, al quale quest’anno è stato assegnato il premio Francesco Scacchi a “Spumanti Italia”, a Pescara, la spumeggiante manifestazione organizzata da Bubble’s Italia che ha voluto così gratificare la più innovativa azienda spumantistica italiana.
Tali traguardi sono resi possibili anche grazie al lavoro che c’è dietro le quinte, come quello svolto dal Vivaio Federico Paulsen, dove si effettuano analisi a mosti e vini e dove, con le microvinificazioni, nascono nuovi prodotti da trasferire alle aziende. Prodotti che sanno di sole, senza solfiti aggiunti, curati da persone altamente preparate, come il vulcanico enologo Gaspare Signorelli. Persone che permettono al tesoro enologico del nostro Paese d’essere sempre in costante evoluzione.
Questo è solo un assaggio della straordinaria ricchezza culturale di Pantelleria, cui si ispira lo slogan del Parco Nazionale dell’isola: “Dove l’Umanità è Patrimonio”. Un inno che invita ad alzare i calici e brindare tutti insieme, per celebrare il valore di chi ha saputo sancire un’indissolubile alleanza con la natura, ricambiando la generosità della Terra con il lavoro dell’Uomo.
Bubble’s Magazine Italia n.9
Italian Good Living
Semplicemente Pantelleria mi manca e ignoravo i “cucunci”, che cercherò e immaginerò con sincera curiosità… di ri-cerca!
T’invidio dalla scrivania che non mi nasconde i riflessi bronzei del Dell’Acqua a cavallo, che forse si era perso l’isola lavica dai suoi viaggi…
Xoxoxo, Enzo