Knie, cent’anni di magia

Duecentotrenta operatori. Trentasette artisti da otto Paesi. Settecento chili di paglia al giorno. Novecento di mangime. Quarantatré formazioni in carovana. Quarantotto carrozze su due treni speciali. Duemilacinquecento chilometri percorsi su ferrovia. Tremilaseicento su strada. Milletrecento cinquanta tonnellate di materiale trasportato.

Una grande famiglia. Cento anni di storia.

Sono numeri da capogiro quelli che raccontano la vita del circo più celebre della Svizzera, e non solo. Il Circo Knie, nato con Friedrich Knie nel 1803, fa la sua prima apparizione ufficiale come Circo Nazionale Svizzero il 14 giugno 1919, alla Schützenmatte di Berna. E i cent’anni che festeggia oggi lo confermano alla ribalta sempre più vitale e carico di energie ancor più catalizzanti. 

I veri numeri da capogiro del Knie, tuttavia, non sono quelli che misurano persone, animali e materiali. I veri numeri sono le mirabolanti acrobazie che ognuno degli atleti – perché di veri atleti si tratta – della grande famiglia circense mettono in scena per noi. Corpi plastici che paiono usciti dalle mani di un immaginario Canova, movimenti sensuali e vigorosi al tempo stesso, grazia e potenza, delicatezza e impeto, leggerezza e grinta. Il trasporto è totale e tocca dimensioni apparentemente opposte: dall’ammirazione per la pura carnalità degli artisti alla meraviglia per la purezza eterea delle esibizioni. 

Ogni coreografia è un’opera d’arte a se stante, in cui il dialogo tra i protagonisti, le scenografie, le luci e le musiche dell’orchestra raggiunge un punto d’equilibrio che ipnotizza lo spettatore, lasciandolo in bilico tra un fragoroso applauso e il fiato sospeso. Almeno a me così è successo. 

Di fronte ai vertiginosi balletti volanti e alle acrobatiche danze di coppia ho avvertito il bisogno di far silenzio per fondermi completamente con gli artisti e sentirmi trasportata lassù, rapita da nastri stellati e nuvole d’argento. Eppure l’applauso è d’obbligo, scappa fuori dalle mani come un irrefrenabile sfogo e premia bravura, coraggio, talento e concentrazione.

Perché dietro a quella manciata di minuti colmi di magia, dietro ogni numero e dentro ogni personaggio, ci sono ore e ore di allenamento, di paziente, totale dedizione a questo lavoro che senza passione non potrebbe essere, né trasmettere lo stesso coinvolgimento a chi osserva.

Dalle figure scultoree dei giovani atleti, alla buffa giocosità dei clown, fino alla destrezza di chi trasforma possenti destrieri in fedeli complici, il susseguirsi dei numeri cuce un pathos profondo tra pubblico e attori. Viene voglia di conoscere i nomi di ognuno di loro, di ascoltare le storie delle loro vite per capire cosa può portare una persona a scegliere la vita da circo. 

Eppure, osservando le proiezioni che, tra un numero e l’altro, narrano la storia delle generazioni Knie, guardando gli occhi fiammeggianti dei nonni fino ai sorrisi aperti dei giovanissimi eredi, ecco che mi pare di intuire qualcosa. Mi piace pensare che, forse, non sono le persone a scegliere il circo ma, viceversa, è il circo a scegliere le persone.

Persone che, tutte insieme armoniosamente, diventano un unico organismo in cui ogni presenza è indispensabile per il perfetto funzionamento del Tutto. Comprese quelle presenze “invisibili” – tecnici, costumisti, cuochi, autisti, addetti alla pulizia e alla cura degli animali – senza le quali anche la magia più sofisticata perderebbe i suoi poteri. Anche questi sono numeri che contano.

Dopo l’ultimo applauso, il sipario si chiude per noi ospiti, mentre dentro il tendone resta il calore di chi ancora ha tanto da fare. Le musiche sfumano e le luci poco a poco si spengono, salutando l’uscita di un fiume di formiche umane che commentano e si scambiano opinioni sul numero più entusiasmante, sull’eleganza dei cavalli, sull’abilità di chi sa volare senza ali senza paura di cadere. E, sotto una lieve pioggia autunnale, penso all’indomani. Quando, prima ancora che i riflettori torneranno a colorare il Circo Knie di nuove giravolte, all’alba si sveglieranno i primi attori. Le prime fatiche e i primi sudori necessari per far sì che questo straordinario spettacolo possa continuare ad emozionare.

Domani, così come oggi. Immutato dopo cent’anni.