Quando Jean-Paul Sartre e Simone di Beauvoir si conoscono, sono appena ventenni ma il loro primo folgorante incontro segna la gestazione di un eterno sodalizio, mentale e sentimentale.
I due non sono solo un uomo e una donna qualunque che intrecciano le proprie agitate esistenze. Sono due fervide menti, febbrili e ribelli, destinate a un’osmosi che scolpirà definitivamente il pensiero intellettuale degli anni a venire.
Lei, ragazza solitaria, asociale e antiborghese, sente precocemente di possedere un cervello maschile dentro un corpo di donna. “M’immersi nella letteratura– scrive in una delle sue minuziose autobiografie – come in altri tempi nella preghiera.”Decide presto e senza indugio di assecondare la sua contraddittoria natura d’intellettuale senza farsi intimidire dal sapere maschile, subordinando al lavoro di scrittrice l’aspetto squisitamente femminile e i fatui vezzi del gentil sesso. Lui, bellicoso, ruvido e diffidente, si sente sin da piccolo inadeguato ai suoi simili, anche per via dell’aspetto fisico piuttosto ingrato che lo vuole strabico, tarchiato e sgraziato come un rospo. Questo “insipido sboccio in perpetua attesa di abolizione, cherubino avvizzito, miserello che non interessa a nessuno” – come lui stesso si definisce – combatte il feroce desiderio di sparire nel Nulla con l’insaziabile fame di cultura, trovando nella letteratura la sua religione e la tempra del suo carattere.
Sartre e de Beauvoir sembrano, dunque, due gemme germogliate dalle stesse radici e destinate a fondersi in una coppia filosofica che finirà per trascendere le singole identità, trasformando le inquietudini di ognuno in uno straordinario sodalizio esistenziale. I due si sono istintivamente attratti, come due energie telluriche calamitate da un invisibile collante chimico, sentendo di appartenere irrimediabilmente l’uno all’altra. Eppure, si sono dati del lei per oltre cinquant’anni, non hanno mai vissuto insieme definitivamente, non si sono mai sposati né hanno avuto figli ed entrambi si sono concessi frequenti relazioni amorose, contingenti al loro stesso amore. Un amore che li vedrà indissolubilmente legati in un rapporto senti-mentale incorruttibile, fino all’epilogo delle loro stesse vite.
“Quello che c’è tra noi due – ha scritto Sartre riferendosi a lei – è un amore necessario. La cosa meravigliosa di Simone è che ha l’intelligenza di un uomo e la sensibilità di una donna. In lei trovo tutto quello di cui posso avere bisogno.”
“Sartre rispondeva esattamente ai desideri dei miei quindici anni– racconta da parte sua Simone de Beauvoir – Era il mio doppio, nel quale ritrovavo tutte le mie manie portate all’incandescenza. Con lui avrei potuto condividere tutto.”
Il loro è stato un Amore necessario, dunque. Necessario, nel senso di totale. A unire la coppia filosofica è stata una complicità mentale e spirituale. Hanno fatto l’amore innanzitutto con la mente, un amore traboccante di passione e di amplessi che il corpo da solo non potrebbe donare. La compenetrazione tra Sartre e de Beauvoir è stata talmente profonda da resistere a ogni prevaricazione esterna, perché quando si ama da dentro, ogni passione contingente scivola via come olio sull’acqua.
Per questo i due amanti intellettuali possono permettersi di concedersi, spesso e volentieri, avventure occasionali in maniera trasparente, raccontandosele con eccitata partecipazione, sbeffeggiando ogni inutile codice morale e perbenista. Perché loro sono ‘oltre’. A volte Sartre tesse morbose relazioni proprio con le stesse donne giovani e belle sgusciate fuori dalle braccia di de Beauvoir, assolutamente disinibita di fronte alla promiscuità dei sessi, di cui invocava la fratellanza. Si alimenta così, negli anni, un trasgressivo scambio di amanti che giostrano in una specie di famiglia allargata, di cui i due intellettuali sono il motore.
Nonostante le tribolate passioni contingenti, comunque, l’amore necessario tra Sarte e de Beauvoir è incorruttibile, viscerale e immortale, tanto che la coppia resterà unita a dispetto dell’ineluttabile usura del tempo.
“Se muori, mi sdraierò accanto al tuo corpo e rimarrò lì ad attendere la tua fine, senza mangiare né bere, tu marcirai tra le mie braccia ed io amerò te, già carogna: perché non si ama niente se non si ama tutto.” Così scrive Sartre alla sua compagna, la quale con parole squisitamente tenere risponde: “E’ spaventoso non poter consolare qualcuno dal dolore che gli si dà abbandonandolo; è spaventoso che qualcuno vi abbandoni e non vi dica più nulla.”
Il 15 aprile 1980 all’ospedale di Broussais, Simone de Beauvoir s’infila con un brivido di dolore nel letto di Jean-Paul Sartre, dove oramai il suo corpo ancora caldo giace esanime. Sarà, questa, la loro ultima notte insieme, come a suggellare la sintesi estrema del loro eterno, necessario amore.
“La sua morte ci separa – scriverà con rassegnata commozione lei, ormai privata della sua metà – e la mia morte non ci unirà. E’ bello così, che le nostre vite abbiano potuto accordarsi per un così lungo tempo.”
I corpi di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir riposano oggi nel cimitero di Montparnasse, accanto a quelli di Baudelaire. Mentre i loro pensieri continueranno a volteggiare liberi e irreprensibili, uniti per sempre nella memoria della posterità.
Codicillo personale.
Al di là della personale ammirazione che nutro per questi due personaggi, ve ne sono molti altri, di altrettanta levatura filosofica, artistica e letteraria, che hanno immortalato con le parole le proprie storie d’amorosi sensi. Abelardo e Eloisa, Nietzsche e Lou Andreas-Salomé, Hanna Arendt e Heidegger, Scott Fitzgerald e Zelda Zaire, Henry Miller e Anais Nin, solo per citarne alcuni sfogliando a caso le pagine del tempo.
La letteratura ha, infatti, il potere di rivestire le storie d’amore d’un fascino sensazionale che trasforma ogni realtà vissuta in romanzo da leggere. Forse, nella quotidianità, queste vicende amorose non sono sempre state così affascinanti e anche i leggendari amanti ogni tanto s’annoiavano tra le lenzuola, si arenavano in banalità e si stiracchiavano pigri tra i fumi d’oppio e gli effluvi d’assenzio. In fin dei conti è soprattutto la capacità di saper raccontare le storie che le rende straordinarie e immortali, insieme agli inquieti protagonisti.
Questo per dire che, probabilmente, ogni giorno, in ogni casa, in ogni letto e in ogni epoca storica – compresa la nostra, fatta anche di una virtualità sfuggente ma quanto mai concreta – si avvicendano intrecci amorosi tanto sofferti quanto sublimi destinati a restare privi di testimoni, perché svaniscono senza lasciare impronte nella biblioteca esistenziale dell’universo.
Del resto meglio così, o saremmo sommersi da romanzi tutti speciali, eppure alla fine tutti uguali e per ogni tipo d’amore dovremmo inventare un titolo diverso, proprio come per i libri.
Meglio risparmiare la fantasia per vivere l’amore, anziché scriverlo. Perché, per quanto raccontato in mille versioni, l’amore è multiforme, imprevedibile, cangevole, indefinibile e resterà sempre un mistero. Un mistero necessario.
In poche parole, l’amore è e sarà sempre un delizioso, subdolo mentitore.
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