Una pagina bianca somiglia al silenzio.
Un immenso vuoto da riempire di musica, di colori, di vibrazioni. Basta poco, basta un soffio per riversare in quella voragine immacolata un arcobaleno di emozioni. Basta il desiderio di sprofondare, senza temere di lasciarsi andare. Scavare nelle sconfinate paludi del buio, avventurarsi nei labirinti del vuoto in una trascinante rêverie.
La scrittura, così come l’arte in ogni sua veste, è una forma di esibizione, è vero. Eppure esiste anche una dimensione di scrittura privata, intima, in cui chi scrive risponde innanzitutto al bisogno di svuotarsi, senza regole, senza confini. E senza fini.
Scrivere per se stessi, non per altri. Spogliarsi d’ogni vanità per scoprire la bellezza della nudità. Ecco a cosa somiglia questo coito creativo tra mente e cuore. Il rischio di essere letto e non capito è irrilevante. L’importante è partorire, rispondere d’istinto alle parole che bussano senza troppo riguardo e che s’impongono al proprio sguardo.
Cavalcare il piacere di scrivere, dunque, per guardarsi allo specchio. Così, stando nudo davanti a quel riflesso, chi scrive può trasformare una pagina bianca in romanzo e il silenzio in musica.
Poi, può anche capitare che un lettore inciampi, forse per caso (per chi ancora al caso crede), in quella cianfrusaglia di parole ruzzolate fuori dall’urgenza di trovarsi. E che ne colga, sempre per caso, un’intrinseca bellezza. Quella della nudità, appunto.
È da quest’incontro che la musica prende corpo e la pagina bianca si trasforma in danza. Una danza tra chi legge e chi scrive. Tra te e me … che al caso non crediamo.
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