L’oasi sacra di Santa Petronilla

Via, lontano da tutto. Dal rumore, dal traffico, dalla gente. La fame di silenzio e pace si fa sempre più mordente, almeno per me, e con un velo di insana nostalgia ripenso alla scorsa primavera quando la Natura era sovrana assoluta, a dispetto di un’umanità completamente paralizzata.

Tuttavia, anche oggi è possibile trovare rifugio in qualche oasi naturale e godere di impagabili parentesi rigeneranti per far carica di vitalità e armonia.

Uno di questi luoghi così significativi per anima e corpo si trova a Biasca, piccola cittadina nel distretto di Riviera, che già nel suo nome cela il segreto della sua forza energetica. Pare che “bi” stia per “due” e “asca” per “acqua”. La città, in effetti, si colloca esattamente alla confluenza di due fiumi: il Brenno, che scende dalla Valle di Blenio, e il Ticino, proveniente dalla Valle Leventina. Questa imponente presenza di acqua non rappresenta solo una ricchezza naturale ma ha anche un significato strategico, infatti Biasca è stata storicamente un importante snodo commerciale. Non solo, nell’antichità i villaggi del Canton Ticino adagiati accanto ai punti d’incontro tra due fiumi erano prediletti luoghi di culto, tanto che venivano arredati di belle chiese, ancora oggi presenti e ben conservate.

Proprio come le chiese che sovrastano Biasca, risalendo le primissime pendici che s’arrampicano verso l’Alpe di Lago, prima tra tutte, per bellezza e imponenza, la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. A partire da qui è come se, passo dopo passo, la terra, le pietre e gli alberi all’unisono accompagnassero il cammino in un crescendo rivitalizzante. La Via Crucis che da qui conduce al romitorio di Santa Petronilla era stata inaugurata nel 1799 ma era conosciuta già ai Romani e ai Celti i quali, evidentemente, con i loro riti hanno contribuito ad imprimere a questo luogo le straordinarie proprietà geomantiche che emana. 

Il culmine di quest’iniezione inebriante frammista di sacro e profano lo si percepisce quando, dopo pochi minuti di cammino, si approda al cospetto di sua maestà, la cascata di Santa Petronilla. Un castagno secolare dà il benvenuto accanto al ponte in pietra e con il suo possente tronco ritorto somiglia a un vecchio saggio, fiero della sapienza che il suo aspetto rivela. 

È il riale della Froda ad alimentare la cascata, che pare essere tra le più lunghe della Svizzera e anche tra le più pittoresche per le piccole piscine naturali, anfratti cristallini dai colori fiabeschi che interrompono i vorticosi salti.

La voce dell’acqua è la sola musica che riempie l’aria, a tratti impetuosa e prepotente, in altri punti più pacata e suadente. La sua forza imprime tutto, è vettore energetico che suscita devozione e infonde un sentimento di purezza, di innocenza e, oserei dire, di amore per la vita. Più volte mi sono immersa nelle piccole pozze d’acqua turchesi, e i taglienti brividi di freddo che scuotono il corpo rimettono in moto impulsi archetipici nella mente, sferzate di vitalità edificante e primitiva che ti fanno sentire un tutt’uno con la grandiosità della Natura. 

Guardare in alto e immaginare l’origine della cascata dà le vertigini, le fronde delle piante nascondono allo sguardo il percorso del serpente liquido che, come per magia, finisce per scomparire nel terreno, una volta sopraggiunto in basso, alle spalle della città. È come se la cascata, con le sue piscine, volesse concedere una sosta, una parentesi, un dono prima di confluire sottoterra portando con sé tutti i suoi segreti e i suoi misteri.

Grata di questa parentesi che l’oasi di Santa Petronilla imprime, riemergo sempre rigenerata da questi bagni “battesimali” e, forse, anche un po’ meno intollerante nei confronti di un mondo pieno di eccessi e contraddizioni. Mondo al quale, dopo tutto, anch’io appartengo.