Sonoro con sorriso. Sonoro. Solo con sorriso. Indifferente. Grugnito. Voltafaccia.
Camminando per ore, in diversi momenti della giornata, mi sono accorta che il saluto in montagna varia. Salutarsi tra escursionisti dovrebbe essere una semplice regola di buona educazione, eppure questo comportamento di reciproca cordialità non sempre viene osservato.
Le persone che – senza volerlo – s’incontrano, scelgono di salutarsi o meno secondo delle variabili apparentemente casuali; eppure, osservando bene in questi giorni la fauna umana, mi pare di poter abbozzare alcune regolarità che, con un po’ di ironia, mi va di raccontare.
Innanzitutto, occorre distinguere tra fasce orarie, zone e numero delle persone lungo i sentieri. Infatti, la mattina presto, quando il sole ancora sbadiglia, le rare persone che incontro lungo i sentieri della splendida valle del Lys sono più predisposte al saluto cordiale. È più frequente sentire un sonoro “buongiorno” accompagnato dal sorriso, puntualmente ricambiato, come a sottolineare il piacere condiviso della prima passeggiata della giornata.
Con il trascorrere delle ore, le persone si moltiplicano e, vedendo sopraggiungere qualcuno di fronte a sé lungo lo stesso sentiero, gradualmente si passa dal saluto entusiasta a quelli più timidi, fino a scemare all’indifferenza se non al fastidio. I sorrisi si trasformano talvolta in grugniti e c’è chi poi preferisce affondare lo sguardo dentro il proprio telefonino piuttosto che intercettare gli occhi del viandante di turno, o voltarsi del tutto dal lato opposto per ammirare un’invisibile marmotta.
Inoltre, a mano a mano che ci si addentra dalla valle verso il nucleo del paese, ecco che l’istinto del saluto scema completamente. Del resto, è comprensibile, visto che ognuno si sente restituito alla civiltà e la poesia della natura, che poco prima alimentava l’anima, finisce col cedere il ritmo alla più fredda convivenza urbana.
Ho notato, però, che oltre a queste variabili piuttosto evidenti, ce ne sono altre più sottili e curiose. Per esempio, gli uomini salutano più spesso e volentieri delle donne; gli anziani, più dei giovanissimi; i walkers, più dei bikers; chi ha con sé un cane puntualmente saluta con maggior entusiasmo ed è addirittura più propenso a socializzare con sconosciuti.
La sensazione di fondo, comunque, è che il saluto tra chi si incontra per caso lungo i sentieri di montagna nasce con uno spirito di complicità per trasformarsi via via in un sentimento di competitività. Come dire: all’alba siamo solo noi, due o tre viandanti che condividono lo stesso cammino, si spartiscono l’immenso spazio ancora vergine che la natura offre col suo silente abbraccio. Un senso di gratitudine ci unisce per tanta bellezza che ci circonda, non ci conosciamo ma conosciamo il sentimento di pace e benessere che, molto probabilmente, accompagna la nostra prima passeggiata in attesa che il sole perfezioni l’idillio.
Tuttavia, quando si è in molti, ci si sente subito in troppi, e vince la competitività. L’immenso spazio diventa sempre più piccolo, va diviso, non più condiviso. La panchina più all’ombra, il fazzoletto di prato più esposto al sole, persino il lato migliore del sentiero da percorrere, dove passare in due già è un problema: tutto diventa una gara al possesso, a chi prima arriva. Così, anche il saluto finisce col perdere la sua spontaneità espressiva, anzi lascia il posto a sguardi biechi con venature di possibile intolleranza al prossimo.
Personalmente, quando qualcuno sopraggiunge sul nostro cammino, suggerirei di indossare sempre un mite sorriso. Tutt’al più non sarà ricambiato e ci lascerà ebeti ma educati di fronte a chi, forse, è semplicemente immerso nei propri pensieri o non ha occhi che per le vette in lontananza.
Confesso, infine, che almeno una volta anch’io ho evitato di salutare. Uscita all’alba di una fredda mattina d’agosto, mi sono incamminata sul solito sentiero che dal nucleo porta al fondovalle del Lys. Nessuno in giro, troppo presto, troppo freddo. Bellissimo! Ma dopo qualche centinaio di metri, ecco che davanti a me scorgo un personaggio particolare, diretto verso la mia stessa meta. Era un monaco, forse un monaco tibetano, con una tunica arancione e sandali, una spalla scoperta e i piedi nudi. Sembrava un’apparizione, del tutto fuori luogo in quel bosco dove il silenzio era rotto solo dal fragore del torrente. Ecco, davanti a quella visione, ho preferito rallentare e, piano piano, cambiare percorso. Mi sarebbe parso un sacrilegio interferire nei pensieri che immagino aleggiassero nella mente del monaco. In quel caso, qualsiasi forma di saluto mi sarebbe parsa stonato. In tutti gli altri casi, però, un saluto tra perfetti sconosciuti è qualcosa di bello da regalare e ancor più da ricevere.
parsa stonata
Brava come sempre 💋