Comunicare significa rendere comune. Il latino “munus”, ovvero “dono”, ci ricorda che il dialogo è relazione e le parole sono ponti tesi tra la nostra interiorità e quella degli altri o, per lo meno, di quegli altri per noi importanti. Comunicare è, dunque, anche curare.
Parole che toccano, scavano, che spesso feriscono ma poi leniscono, quando l’amore c’è. Si entra in relazione con l’interiorità altrui quanto più si è affettivamente coinvolti e in grado di empatizzare le emozioni di chi si ascolta con il cuore. Saper soffrire, gioire, commuoversi insieme è l’humus della comunicazione fatta, dunque, non solo di verbalizzazioni e ragionamenti ma anche di sguardi e di silenzi.
Prendersi per mano in un istante di sconforto e ballare abbracciati in reciproco silente ascolto, nella penombra della malinconia. Anche questo è comunicare. Un dialogo tra due anime che si cercano, che cercano di capirsi al di là delle parole, talvolta pesanti come macigni eppure necessarie per volare.
Trovare lo stesso ritmo, tra una lacrima, un sorriso, un bacio e la certezza che quel ponte fatto di frasi affilate come lame altro non è che il desiderio di curare. Così, grazie a questo dono, insieme si comincia a guarire.
Solo il “silenzio”, prolungato, può indurre eco, senza stimolo di reazione, o disinteresse al rapporto. Guarire insieme è elisir vitale!
Il “disinteresse” alla guarigione con la rinuncia alla sinergia è solo per p.l.t. (gli… altri!).