Benché la mia ammirazione per Charles Darwin sia immensa, avrei avuto qualche titubanza ad accettare un ipotetico invito a cena da lui. Leggendo, ho scoperto infatti alcune bizzarre curiosità circa le sue abitudini culinarie, che urtano un poco il mio pudore vegetariano.
Pare, innanzitutto, che l’interesse di Darwin per gli animali fosse tanto precoce quanto viscerale, al punto che, annunciando in casa di non voler proseguire gli studi di medicina, suo padre, offeso, gli rimproverò: “A te interessa solo sparare, occuparti dei cani e acchiappare topi: sarai una vergogna per te stesso e la tua famiglia!” Così, per non scontentare troppo papà Robert, il giovane Darwin provò a ripiegare sull’unica alternativa rispettabile, ovvero la carriera ecclesiastica, con la speranza di poter capire il disegno divino della Natura attraverso lo studio di Dio. Fu invece nella Natura che Darwin finì col cercare Dio, obbedendo all’indole avventurosa probabilmente ereditata da nonno Erasmus.
Il fatto è che quest’interesse smisurato per gli animali non era solo di natura scientifica ma anche gastronomica. Infatti, mentre si logorava sui testi di teologia alla Cambridge University, Darwin cominciò a frequentare con viva passione il Gourmet Club, un’Accademia nota per proporre ai selezionati soci menù alternativi, consistenti in carne d’animali normalmente banditi dalle tavole, come il falco e il tarabuso. Non solo. Abbandonati definitivamente i libri, il 7 dicembre 1831 Darwin s’imbarcò sul Beagle e durante i cinque anni di navigazione, oltre a partorire la ben nota teoria, alimentò anche le sue curiosità culinarie. Fece grandi scorpacciate di armadilli, che sapevano e avevano l’aspetto di anatre, e di un roditore color cioccolato che descrisse come la miglior carne che avessi mai assaggiato. Probabilmente si trattava di un aguti, della famiglia dei Dasyproctidae, che in greco significa ‘deretano peloso’, dal sapore per noi certamente inimmaginabile. In Patagonia gozzovigliò con carne di puma, trovandolo incredibilmente somigliante al vitello, e con il nandù maggiore, che scambiò per struzzo; mentre nelle Galapagos banchettò con polposi iguana e succulenti tartarughe giganti. Evidentemente, Darwin ignorava ancora l’importanza delle tartarughe nella teoria dell’evoluzione, teoria che sviluppò navigando sul Beagle, dove si premurò di far caricare ben 48 esemplari di quelle splendide imponenti creature. Non come soggetti di studio, ahimè, ma come goloso combustibile per gli appetiti suoi, del capitano FitzRoy e di tutto l’equipaggio.
Ma cosa avevano di tanto speciale tutti quei tipi di carne? Cosa di così appetitoso da renderli irresistibili al palato? Darwin, nonostante il suo straordinario acume, non poteva certo immaginare che, prima o poi, qualche scienziato avrebbe scoperto il quinto gusto, l’umami, legato al glutammato monosodico presente nelle proteine animali. In realtà, già Aristotele aveva intuito che il grasso costituisse una classe gustativa fondamentale e distinta dalle altre ma non ne aveva definito un sapore specifico. Oggi, la scienza fornisce una spiegazione più profonda, che scava oltre la chimica del gusto e che giustifica in qualche modo anche i capricci gastronomici di Darwin. L’attrazione per i grassi, infatti, non dipende solo dal sapore particolarmente gradevole ma anche da una predisposizione evolutiva dell’Uomo, cioè da una necessità biologica. Così come l’uomo prova un piacere innato nel consumare alimenti ricchi di zucchero (in origine, frutta e latte materno) perché la Natura lo induce a immagazzinare cibi energetici, abbondanti e a portata di mano per sopravvivere, allo stesso modo è istintivamente attratto dai grassi, perché essi svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo del cervello. Gli scienziati sostengono, infatti, che l’espansione del cervello degli ominidi è conseguenza diretta dei cambiamenti dietetici derivati dalla migrazione dell’Homo Sapiens dalle savane alle regioni fluviali e costiere, cominciata circa 250.000 anni fa. Il passaggio da un’alimentazione esclusivamente frugivora a una ricca di grassi ha, dunque, rivoluzionato l’evoluzione della specie umana nella sua struttura fondamentale, il cervello. In fin dei conti, Darwin senza saperlo confermava su di sé le ipotesi delle sue stesse ricerche, sacrificando armadilli e tartarughe in nome di una scienza che si sarebbe evoluta anche grazie al suo contributo!
Oggi si sa con esattezza che il mattone fondamentale della vita, la membrana cellulare, è composto da un doppio strato lipidico che protegge gli organi interni della cellula. Nei bambini piccoli, una dieta ricca di grassi è cruciale per un corretto sviluppo del cervello. Garantisce, cioè, l’energia necessaria attraverso l’immagazzinamento di acidi grassi presenti nei trigliceridi e fornisce una riserva di acidi grassi polinsaturi a catena lunga, essenziali per la formazione della retina e delle giunzioni sinaptiche che permettono alle cellule cerebrali di comunicare tra loro. In virtù di ciò, è verosimile che la nostra passione innata per i grassi sia ancora più potente di quella per gli zuccheri, come gli esperimenti scientifici dimostrano. Infatti, tutti amiamo i cibi carichi di zucchero, eppure c’è un limite, un livello di saturazione oltre il quale la piacevolezza del dolce diventa nauseante e la preferenza edonica s’inverte in disgusto. Ciò non sembra accadere, invece, nei confronti dei grassi, per cui non si riscontra un punto di saturazione nell’apprezzarne la concentrazione ma, al contrario, un crescente piacere.
La Natura, dunque, sembra abbia voluto prendere l’Uomo per la gola, in modo da garantirgli robustezza e resistenza, al di là dell’effimero piacere del palato. Non dovremmo sentirci in colpa, allora, di fronte all’irresistibile attrazione di una fetta di Sacher, di un cannolo o di un babà (esempi della sofisticata evoluzione della frutta e del latte materno). Così, come non dovremmo, forse, farci troppi problemi di coscienza davanti a un povero pollo arrosto o a una fumante bistecca al sangue. Ci resta, tuttavia, il beneficio della scelta. Innanzitutto, perché – al contrario della pancia – pare che il nostro cervello sia destinato a non svilupparsi oltre il traguardo finora raggiunto e, tutt’al più, oggi la sfida è quella di imparare a utilizzarlo meglio e più spesso (Use or Lose it, come dicono gli anglofoni). Inoltre, oggi si sa che moltissimi vegetali posseggono gli stessi elementi nutritivi della carne e che il sapor d’umami può essere sostituito dalle infinite sfumature aromatiche intrinseche d’ogni verdura, magari con l’accompagnamento di un buon Olio extravergine d’oliva, accontentando così il palato senza scuotere la coscienza.
Ciò detto – per amore di scienza e verità – immagino che se per ipotesi Mr. Darwin m’avesse invitato a cena e si fosse persino invaghito di me, mi sarei trasformata in una petulante Santippe, persuadendo a modo mio il famelico spasimante ad evitare scorpacciate di aguti e tartarughe. Senza volerlo, né saperlo, lo avrei forse reso molto meno geniale e, probabilmente, avrei privato l’umanità di una delle più grandi intuizioni scientifiche di tutti tempi. Chi lo sa, forse Darwin avrebbe scritto un trattato leggermente diverso da quello noto e l’avrebbe titolato così: “Sull’origine della Specie per mezzo della Seduzione naturale”. E magari avrebbe anche venduto molte più copie!
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