Quando partoriamo un figlio, automaticamente eleggiamo un giudice.
Un giudice più implacabile e severo di quelli che siedono nei tribunali per condannare efferati assassini.
Perché un figlio ci osserva nell’intimità della nostra vita quotidiana e coglie la nuda verità di ciò che noi siamo, quella verità nascosta sotto le maschere di turno.
Pur non capendola pienamente nell’immediato sentire, giorno dopo giorno il figlio sedimenta questa verità nel suo cuore, in attesa di elaborarla anche con la mente.
E allora, arriverà il momento in cui, più o meno confusamente, quel figlio capirà d’essere in ogni caso condannato, perché la sua infanzia lo perseguiterà per tutta la sua futura vita.
Non so se, in quest’istante, stia parlando il giudice o il condannato che c’è in me.
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