Dal lago alla città sulle ali della libertà

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Sfilano per le vie della città con elegante disinvoltura. Ancheggiando, passeggiano sui marciapiedi, gironzolano nelle piazze animate dai mercatini di Natale, si specchiano nelle vetrine illuminate a festa dei negozi, catturando gli sguardi ammirati della gente. Rara bellezza, candida purezza, educata selvaticità nel cuore dell’urbanità.
Eppure, questo crescente fluire di maestosi cigni nel centro di Lugano, anziché suscitare solo un comprensibile e divertito stupore, dovrebbe anche far pensare.
Perché un animale libero, selvatico e notoriamente ribelle all’addomesticazione dovrebbe preferire il cemento e l’asfalto all’acqua e all’erba? Perché dovrebbe rischiare d’essere investito da un’auto sulle strisce pedonali (perché da buoni cigni svizzeri pare rispettino le regole della viabilità!) per raggiungere i negozi e intrufolarsi tra i passanti divertiti?
Per mangiare, ovviamente. Le persone indubbiamente li amano, tuttavia, per quanto sempre rispettose nei loro riguardi, hanno alimentato i cigni non solo di pane, biscotti e pizza ma anche di una malsana abitudine: quella di farli sentire attratti da un ambiente e un modo di vivere lontano dalla loro naturalità, rendendoli sempre più dipendenti dall’essere umano anziché dall’istinto. Tanto che sempre meno li si vede soffiare contro potenziali minacce, come cani o bambini maldestri, e incuranti dei pericoli insistono sempre più numerosi nel loro diramarsi come nuvole bianche lungo Via Nassa o Piazza Riforma. Eppure il lago è generoso con gli uccelli acquatici, offre cibo e rifugio.
Tuttavia, le distanze tra le mani che porgono pezzi di pane e il becco dei cigni si accorciano sensibilmente e le immagini di questo rapporto sempre più domestico tra esseri umani e bianchi pennuti si moltiplicano e dilagano nel web, incoraggiando quest’irresistibile tentazione di poterli toccare e carezzare come docili cagnolini.
Se da un lato è comprensibile l’ammirazione per queste scene un po’ naif, dall’altro sarebbe bene ricordare che i cigni, così come ogni altro animale selvatico, non sono un’attrazione e soprattutto non sono “antropomorfizzabili”. Sono creature vive e imprevedibili, libere e suscettibili, con abitudini e ambienti propri, diversi e lontani da quelli umani e il nostro irriducibile desiderio di avvicinarli li sottopone a inutili rischi e dannose dipendenze. Un pezzo di pane troppo grosso potrebbe soffocarli. Un’automobilista potrebbe involontariamente investirli. E, inversamente, l’eccessiva famelicità da parte loro potrebbe essere un pericolo per mani e dita eccessivamente audaci o poco prudenti.
Qualche giorno fa, sul piazzale del Lac, è capitato che un grosso cigno abbia allungato il sinuoso collo verso un giovane uomo accovacciato alla sua altezza e, probabilmente indispettito, con una rapida beccata gli ha afferrato il cellulare con cui lo stava immortalando nell’ennesimo scatto di popolarità. Beh, forse involontariamente sono proprio i cigni a poter insegnare a noi come vorrebbero essere trattati, con tutto il rispetto per l’incontenibile istinto dell’essere umano di voler condizionare la Natura a tutti i costi. Anche quando può cavarsela benissimo da sola.