Forse ho una visione troppo romantica dello scrittore. Mi piace pensare, infatti, che chi scrive per passione – e non per dovere d’informazione – risponda innanzitutto a un bisogno viscerale, prima che mentale. Il bisogno di creare un mondo su misura, in cui poter vivere e non solo sopravvivere.
Un mondo che quasi mai corrisponde a quello offerto con la nascita, con la scuola, con le amicizie, con l’amore, con la religione. No, tutto questo non basta, evidentemente. Attraverso le parole, chi scrive architetta un mondo nuovo che si nutre e si abbevera di sentimenti esterni, perché lo strumento principe dello scrittore sono i sensi che si fanno pensiero. Ma poi, varcata la soglia di questo microcosmo alternativo, impalpabile ed esclusivo, i sentimenti si rimescolano secondo una logica nuova, che parla il linguaggio dell’anima, con una grammatica che si forma mano a mano che viene pensata.
Ecco, a mio modo di sentire, scrivere consente di inventare questo universo in cui ci si può reinventare seguendo la propria natura a dispetto delle imposizioni, dei confini, delle regole, degli stop, dei sensi vietati e dei semafori rossi, creandosi e ricreandosi all’infinito. E quando le parole saranno esaurite, se mai esauriranno, se ne inventeranno di nuove, così come si alimenta il vigore del fuoco soffiando sull’esile fiammella della brace. Perché immenso è il potere delle parole.
E’ sorprendente, oltretutto, notare come si possa scrivere bene quando si pensa di non essere letti, magari tenendo un caro vecchio Diario nella penombra della propria camera da letto. Musica soffusa, la luce calda di un’abat-jour e gli occhi trasognati in una languida solitudine che induce alla creatività espressiva più trasgressiva. E’ un po’ come concedersi un casto spogliarello e camminare nudi per strada senza inutili fardelli né falsi pudori, esibendo non la sensualità del corpo ma la naturalezza dell’anima.
Tuttavia, esiste anche tutto un mondo esteriore che s’affaccia su quello interiore, specchiandosi in un inevitabile reciproco contagio. E’ impossibile ignorare il pubblico che spia dietro questo foglio di vetro idealmente posto tra interiorità e esteriorità. Dunque, abbandonando per un istante questa mia incantata immagine dello scrittore, mi domando se esiste ancora qualcuno, oggi, che dedica la scrittura semplicemente a se stesso, affidando per esempio i propri pensieri alle pagine di un Diario segreto. Temo di no. Purtroppo, la vanità e l’impellenza a condividere puntualmente le parole con un pubblico sempre più sconfinato è ormai una droga diffusa che se da un lato eccita il nostro piacere narcisistico, dall’altro mortifica il gusto delicato dell’intimità, del pudore, o semplicemente dell’attesa. E’ una droga subdola, questa, che spesso costringe la scrittura a mascherarsi, a truccarsi, a ornarsi di un eccesso di fronzoli, trasformando i piccoli, grandi scrittori in baldanzosi attori. Ormai sembra che le parole scritte non abbiano alcun valore se non vengono seminate e condivise con migliaia di lettori, tanto che il principio cartesiano “penso, dunque sono” potrebbe essere sostituito con “scrivo, dunque sono” o, meglio ancora, con “pubblico, dunque sono.” Insomma, l’importante è far sapere al mondo che esistiamo attraverso i nostri pensieri scritti e veicolati, con la segreta speranza di fecondare i cuori e contagiare le menti di chi legge.
Eccoci qui dunque anche oggi, agghindati di belle parole, a sfilare come tanti eccentrici esibizionisti a caccia d’applausi e d’entusiastici compiacimenti, bramosi di sedurre quel gigantesco anonimo voyeur, di cui noi stessi facciamo parte.
Addio caro vecchio Diario, dunque. Non illuderti, ormai non servi più, perché il nuovo diario, oggi, non è più fatto di carta, penna, sospiri e segreti ma di blog, post, share e link.
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