Madame Julie Récamier, nata a Lione nel 1777, era, come confermano i suoi ritratti, una donna bellissima e, a quanto risulta dalle cronache, anche intelligente, colta e spiritosa. Figlia di un banchiere di nome Bernard, si sposò – neanche a dirlo – con un banchiere parigino, un certo Jaques Récamier. Costui acquistò per lei il palazzo dell’ex ministro Necker, padre della più famosa Madame de Stael, di cui Julie divenne in seguito grande amica e, insieme a lei, acerrima rivale di Napoleone.
Leggendo di lei e intuendo la sua sensualità, sorge naturale in me la tentazione di frugare nelle ardenti passioni della dama e di curiosare un po’ nelle avventure erotiche che condivise con molti dei massimi personaggi dell’epoca, dal principe Augusto di Prussia a Gioacchino Murat, da Benjamin Constant a Chateaubriand. Di lei mi solletica, soprattutto, una frase che usava ripetere a chi, in qualche modo, alludeva alla disinvolta disponibilità di alcune dame a concedersi, spesso e volentieri, ai rudi capricci dei signori. “A loro piace tanto e a noi costa così poco …”
Trovo la prontezza di battuta talmente sagace che, confesso, mi sarebbe piaciuto conoscere personalmente Madame Récamier, tanto che avrei voluto intervistarla, curiosa di scoprire quale sublime arte erotica si celasse dietro a tanta disinvolta audacia. Mi sarebbe piaciuto frequentare il suo spregiudicato salotto per qualche giorno. Solo qualche giorno, non di più, per non cadere definitivamente in tentazione e, soprattutto, perché non avrei potuto vivere a lungo senza computer, idromassaggio e caffè espresso. Ogni epoca ha le sue schiavitù, ahimè! Tuttavia, mi sarei trattenuta un periodo sufficiente per carpirle qualche segreto ed esternarle la mia solidarietà, estendendola anche al marito – complice silente delle tresche amorose – promettendo loro un articolo che fosse all’altezza di tale vivacità amorosa.
A quei tempi, le dame come Julie Récamier sapevano sfruttare abilmente non solo la propria femminilità ma anche la gelosia maschile, inducendo i signori a compiere vere e proprie follie e, soprattutto, a rilanciare offerte e doni in cambio di passionali attenzioni. Con la loro sessualità disinibita e la languida civetteria, le dame francesi erano fate di desideri e il sogno di ogni signore colto, ricco e potente era quello di possederne una (o illudersi di possederla), perché la totale disinibizione era parte fondamentale dell’attrazione. Disinibizione che non era, tuttavia, sinonimo di volgarità e bassezza, tutt’altro: viso grazioso, collo di cigno, occhi sognanti e un concedersi elegante donavano a certe dame un sapore di purezza e castità che le rendeva ancora più peccaminose e desiderabili agli occhi dei potenziali amanti. Mi sarebbe piaciuto, dunque, incontrare anche alcuni dei personaggi che beneficiarono delle grazie di Madame Récamier, visto che con la sua scabrosa arte aveva un ascendente speciale su scrittori e poeti, musicisti e pittori, politici e regnanti.
Avrei chiacchierato con loro, li avrei seguiti nei deliziosi rituali di corteggiamento in cui pudore e malizia intrecciavano dialoghi vibranti dall’esito incerto e, proprio per questo, ancor più eccitanti. Sguardi e baciamano, ventagli e merletti, pizzi e ricami, mussola e veli: uno sfarzo delicato e allo stesso tempo insolente incorniciava l’esuberanza dei sensi. Anche le parole ricamavano trame inconfessabili e persino dietro quella battuta di Madame Récamier, scandalosamente trasgressiva, trapelava un colto erotismo cui tutto era concesso.
Di certo, in quei pochi giorni di lascivia lussuria sarei diventata anch’io una dama d’altri tempi e la mia intervista sarebbe sfumata in una naturale complicità. Mollemente adagiata su una chaise longue di velluto rosso, mi sarei abbeverata di quell’atmosfera seducente, amoreggiando con fragranze e aromi antichi che avrei reso pericolosamente miei. E poi? Poi, dopo aver condiviso con Madame Récamier e i suoi ospiti i sospiri del voluttuoso salotto, avrei forse sentito l’urgenza di scappar via, richiamata dall’impellenza di tornare qui, nel mio tempo e nel mio spazio, per dare un rigore allo sperdimento e mettere ordine al turbinio delle emozioni. Sarei volata qui, al mio computer, il mio salotto moderno, dove il baciamano è un buffo intruso e un bacio rubato un’illusione.
Nel mio solitario e nostalgico languore, avrei rincorso con la mente l’ebbrezza di quei giorni sfacciatamente liberi, cercando le parole adatte per cominciare l’articolo promesso ai miei compiacenti ospiti. E le avrei trovate proprio laggiù, tra i loro ardori, rubandole al fascinoso Chateaubriand che, scivolando sensualmente accanto a me, tra un’audace carezza e un brivido sul collo, mi aveva sussurrato: “Mia cara, ci son parole che dovrebbero essere usate una sola volta …”
Parole proibite, dunque, sospese all’ombra del segreto abbraccio tra desiderio e realtà.
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