Gioco di specchi

Quando ero ragazza tenevo un diario segreto. Così si usava allora. Era talmente segreto che aveva un piccolo lucchetto dorato con una chiave altrettanto piccola, da maneggiare con delicata cura. Ricordo ancora che era rivestito di panno blu cobalto, profondo come il mare. Morbido, rassicurante, accogliente, perfetto per custodire i segreti di una creatura imperfetta alla ricerca di sé. Al bisogno di scrivere subentrava, però, la paura di rileggere. Ripercorrere i pensieri scritti in solitudine, sotto la spinta di emozioni acerbe, mi metteva sempre un certo imbarazzo, misto a un po’ di pudore. Quasi avessi timore di riconoscere quelle parole come mie. Vergogna, peccato, senso di colpa? Forse. Di sicuro sentivo che i pensieri, una volta impressi sulla carta, non erano più miei, bensì di quelle pagine, di quel diario, di quel lettore invisibile, anonimo, spettatore involontario del mio animo. Chiuso il lucchetto, le parole sparivano e guai se qualcuno le avesse lette.

Oggi, non si usa più tenere un diario segreto. Non ci sono più lucchetti dorati e chiavi magiche per proteggere pensieri ed emozioni, tutt’altro. Oggi si sgomita per divulgare sul palcoscenico della socialità la propria quotidianità. Il piccolo diario privato di ognuno, il mio compreso, si è trasformato in un immenso frullatore mediatico, l’intimità è diventata esibizione e la confidenza condivisione. Eppure, personalmente, dopo aver ceduto alla tentazione di esibire il mazzo di pensieri sbocciati in un istante, mi resta la stessa antica sensazione che provavo allora di fronte alle mie parole affidate ala carta. Quella di imbarazzo, di pudore, di vergogna nel rileggerle e nel ripercorrere i moti d’animo catapultati, ora, nel web. 

E allora perché farlo? Per un irresistibile gioco di specchi dagli effimeri riflessi, forse. Se un tempo ci si specchiava nel proprio privato, fatto di qualche pagina bianca, oggi ci si specchia nell’anonimo pubblico che ci osserva, e attraverso i suoi grandi occhi famelici si cerca auspicabilmente di vedere se stessi, di trovarsi, di riconoscersi. La deformazione è garantita, così come l’illusione di essere ascoltati, compresi, chissà … persino ammirati. Tuttavia, ostinatamente seminudi, ogni giorno ci spogliamo di un velo, gratuitamente offerto sotto forma di pensieri, di racconti o di fotografie, in un continuo darsi senza possibilità di recuperarsi. 

Lo sto facendo anch’io in questo momento, ricordando ad alta voce quell’antico diario rivestito di panno blu cobalto, profondo come il mare. Molto probabilmente non rileggerò le parole di questo momento, una volta date in pasto al vuoto, e lascerò come sempre che gli specchi mettano in atto il solito fugace gioco. Piuttosto, forse, andrò alla ricerca di quel rassicurante diario, che certamente ancora esiste in qualche cassetto dimenticato di un passato un po’ sgualcito. Confido di ritrovarlo ancora chiuso a chiave, fedele a se stesso, e di avere il coraggio di sfogliarlo, sperando di riconoscermi. Per riscoprire, dentro quel piccolo specchio nascosto al mondo, il piacere del segreto, la bellezza del privato e il valore di un silenzio, fortunatamente, non del tutto dimenticato.