Il respiro segreto di Procida

Ogni isola è un piccolo continente, uno scrigno a sé. Quando ho visitato Procida, un’estate di qualche anno fa, ho avvertito la sensazione di penetrare in un territorio calamitante, sganciato dal resto del mondo. Merito anche di una guida speciale che mi ha condotto là dove pochissimi hanno l’abitudine di spingersi. 

Rivivo oggi quel mio viaggio come allora. Lui, la mia guida, è Salvatore Misticone, attore e artista procidano nell’anima, noto per la sua partecipazione a Benvenuti al Sud, ma non solo. Ebbene, attraverso i suoi occhi e le sue parole scopro una Procida insospettabile.

La minore delle isole flegree, nata dalle eruzioni di quattro vulcani oggi assopiti, non ha alcunché da invidiare alle sue sorelle maggiori. La sua vivacità si manifesta con delicatezza, senza frenesia, attraverso il linguaggio dei colori, a partire da quello dominante che ammicca qua e là in tutta l’isola. È il giallo, come il tufo di cui è fondamentalmente costituita. Un giallo acceso, vivo come i suoi limoni, carnosi e pregni di sole, che trapuntano gli orti e i giardini come le stelle il cielo. Seguono le sfumature più tenui di arancio e albicocca, che insieme al celeste, al turchese e al verde acqua contraddistinguono le mura delle abitazioni affacciate sul porto di Marina di Sancio Cattolico, dominato dal Palazzo Merlato. I colori differenti, per tradizione, aiutano i pescatori a riconoscere la propria abitazione in lontananza, e da questa esigenza pratica ne nasce spesso un’opera architettonica. Le barche in legno, con le reti sempre pronte per essere calate, completano un affresco che riassume il legame forte tra gli isolani e il mare, fonte di vita e di sacrificio. 

Spesso di un luogo si dice “qui il tempo sembra essersi fermato” ed è a maggior ragione vero a Procida. Perché dietro la sua facciata variopinta si cela una lunga storia ancora palpabile. Da Piazza dei Martiri a Torre Murata, il cuore più antico e più elevato dell’isola, le pietre degli edifici sono silenti testimoni dei trascorsi storici. Le abitazioni di Terra Murata, in particolare, viste da fuori trasmettono una sensazione di alleanza tra loro e di ostilità verso lo straniero. Un vero e proprio scudo contro le continue invasioni dal mare. Dal profano al sacro: entrare nella Chiesa di San Michele Arcangelo, invece, dà la sensazione di immettersi in uno spazio immenso, più grande rispetto a quello esterno. Da perdersi per ritrovarsi.

Eppure, tra tutti gli angoli incantevoli visitati a Procida, uno in particolare mi rimane impresso. “Pochi, pochissimi lo conoscono” mi dice Salvatore, raccontandomi, strada facendo, una lunga e affascinante storia. Presso il villaggio di Chiaiolella sorge Vivara, l’isolotto vulcanico connesso all’isola e suo primo insediamento umano. È ciò che resta di un grande cratere, in cui il mare riesce a penetrare attraverso i semicerchi sgretolati dell’originario vulcano. Così facendo, onda su onda, si è formato un piccolo lago salato, sul fondo del quale sono stati rinvenuti resti di accampamenti micenei. Di fronte a Vivara, la collina di Santa Margherita raccoglie gli effetti straordinari di questa risacca sotterranea. “Me lo spiegò tanti anni fa un carissimo amico – Domenico Lubrano, detto Minicuccio – che proprio in cima alla collina aveva costruito la sua casa, dove viveva con la moglie Montevergine. Il segreto è che la montagna … respira!”

Attraverso una fenditura nel suo fianco, il mare penetra nella collina raggiungendo le grotte interne e da lì, con tutto il suo impeto, spinge l’aria in alto fino a farla sfociare all’esterno. Un alito salmastro umido e fresco sbocca fuori dalla collina, sempre, in ogni stagione. “L’ho chiamato il respiro di Procida!” E proprio qui, addosso allo sbocco del respiro, Minicuccio aveva costruito la sua casetta in pietra di tufo per godere della frescura della terra. Oggi Minicuccio avrebbe 110 anni, la casa appartiene al figlio Peppino. Per il resto, tutto è ancora come allora. 

“È proprio vero che a Procida non cambia mai niente.” Mi dice Salvatore una volta tornati al porto, regalandomi l’ultima chicca della giornata: un buon bicchiere di Levante, il vino dell’isola, aromatico e poco alcolico, perché doveva approvvigionare gli equipaggi delle navi. 

Oggi, rivedendo quell’istante, brindo idealmente a Procida, immutata nel tempo ma futura Capitale della Cultura. Avrà gli occhi di tutto il mondo puntati addosso, lei così riservata. Una grande responsabilità per questa piccola isola. Sempre meno velata, forse, ma unica custode del suo respiro segreto. 

Pubblicato su Bubble’s Italia 12